Giorgetti vuole produrre vaccini. Bigfarma fiuta subito l’affare. Il piano richiede tempi lunghi incompatibili con il Covid. E su 100 dosi realizzate solo 13,5 resterebbero in Italia

Giorgetti vuole produrre vaccini. Bigfarma fiuta subito l’affare. Il piano richiede tempi lunghi incompatibili con il Covid. E su 100 dosi realizzate solo 13,5 resterebbero in Italia

Mentre si impenna la curva del Covid e tornano le chiusure, mentre riprende la Dad nelle scuole di mezza Italia e tardano i ristori alle troppe aziende ormai in ginocchio, per accelerare nella campagna vaccinale il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti punta su un polo farmaceutico nazionale per produrre i vaccini e mette subito sul piatto tra i 400 e i 500 milioni di euro. Quella che l’esponente leghista presenta come la soluzione per uscire il prima possibile dall’incubo della pandemia a ben vedere sembra però l’ennesimo grande regalo all’industria del farmaco, con investimenti pubblici enormi senza ottenere risultati concreti e per l’ennesima volta senza una strategia di lungo periodo per sconfiggere la pandemia. I tempi del resto sono lunghi, i farmaci che potrebbero restare in Italia pochi e poi da una parte si continua a pompare denaro nelle casse delle multinazionali farmaceutiche e dall’altra si spendono altre notevoli risorse in prodotti italiani che diventano la concorrenza.

LE PROMESSE. Il ministro Giorgetti ha dichiarato che il governo ha intenzione di contribuire alla “nascita di un polo biotecnologico nazionale” e per farlo nel decreto Sostegno saranno stanziate risorse pari a circa “400-500 milioni di euro”. Un annuncio dato durante una conferenza stampa con il commissario europeo al mercato, Thierry Breton, capo della task force Ue per accelerare la produzione di vaccini in Europa. L’esponente della Lega ha poi aggiunto che il compito dell’esecutivo sarà “facilitare la nascita di un polo nazionale, non solo legato ai vaccini, ma a tutto il biotecnologico”, in cui “il contributo economico finanziario dello Stato sarà determinante”, ma lo sarà anche “l’eventuale partecipazione di soggetti dell’industria farmaceutica italiani chiamati a fare loro parte e non faranno mancare loro adesione”. “Posso assicurare – ha sottolineato – che l’industria farmaceutica italiana è pronta in tutte le fasi e per quanto riguarda le sue potenzialità a dare il suo contributo alla risposta europea in tema di vaccini”. Dichiarazioni fatte dopo gli incontri al Mise con Farmindustria e con l’Aifa.

IL FRONTE RUSSO. Ieri inoltre l’Ema, l’autorità regolatoria europea sul farmaco, ha avviato la valutazione del vaccino russo Sputnik, sponsorizzato in particolare da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, ma che ha ottime sponde anche tra i dem, partendo dall’assessore regionale alla sanità del Lazio, Alessio D’Amato. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che l’Ue vuole “che tutti i vaccini destinati al mercato europeo mostrino tutti i dati, gli studi clinici, affinché il processo di valutazione sia sicuro ed efficace. Oggi finalmente Sputnik ha mostrato i suoi documenti e questo è un fatto positivo”.

I NODI. Quello che non chiarisce Giorgetti è però che i tempi per produrre i vaccini sono di circa sei mesi, tempi lunghissimi per affrontare la pandemia. Non è un’operazione semplice del resto la riconversione delle aziende e ancor di più non lo è quella di dotarsi dei necessari bioreattori per la produzione dei vaccini. Tra sei mesi non si sa quale sarà la situazione e, considerando le varianti al virus, neppure cosa servirà esattamente a livello vaccinale per garantire una reale copertura. Ma c’è di più. L’industria del farmaco non cederà alcun brevetto allo Stato, né gratuitamente né a pagamento, e l’Italia si troverà così ad aiutare i produttori a trovare nel nostro Paese dei semplici contoterzisti che lavoreranno per i colossi stranieri.

Quando poi inizierà la produzione in Italia, quei vaccini verranno redistribuiti in Europa e all’Italia toccherà solo la quota stabilita, il 13,5% del totale. Poco visti gli investimenti, che tra l’altro vanno ad aggiungersi a quelli già fatti per acquistare i vaccini. Alle multinazionali del farmaco lo Stato paga insomma due volte. Senza contare che, tramite Invitalia, lo stesso Stato ha già investito 81 milioni di euro in Reithera, l’azienda di Castel Romano, a due passi da Roma, impegnata a produrre un vaccino italiano. Con l’iniziativa di Giorgetti si finirà quindi a pagare le aziende per produrre vaccini che fanno concorrenza a quello italiano e su cui la stessa Italia ha messo notevoli risorse. Sempre l’Italia intanto ieri ha bloccato l’export di 250mila dosi di AstraZeneca dirette in Australia.