Giornali e Tv che picconavano il Reddito di cittadinanza contro il M5S ora criticano i tagli

Tanti i luoghi comuni sul Reddito di cittadinanza pronunciati negli ultimi tre anni da sinistra.

Ricordo bene, nello studio di Giovanni Floris, quando – solo contro tutti – per l’ennesima volta dovevo difendere il Reddito di cittadinanza dagli attacchi a palle incatenate di stampa, politici e opinionisti, senza distinzioni di sorta. C’era Sallusti (che sbagliò clamorosamente un congiuntivo!), c’erano sedicenti economisti i cui curriculum sarei sempre ansioso di conoscere, e c’era Concita de Gregorio.

Concita attaccò sprezzante la misura voluta dal M5S definendola “una paghetta”, e giudicandola diseducativa. Fu una lotta, ma riuscii a spiegare la bontà del Reddito di cittadinanza e soprattutto la necessità (obbligo costituzionale, peraltro) di dare una vita dignitosa a chi è scivolato nella povertà.

Lo stesso copione capitò con Corrado Formigli, i cui bravi inviati avevano scoperto che un ex criminale prendeva il Reddito di cittadinanza, e dunque “processato” la misura in una puntata ad hoc, secondo una strana teoria che se dovessimo seguire sempre porterebbe all’abolizione delle pensioni di invalidità – causa falsi invalidi – e alla chiusura di ospedali e atenei causa scandali in sanità e nelle università italiane.

In altre decine di talk e trasmissioni mi capitò di difendere il reddito dagli attacchi di Morassut, Bonaccini, Gruber, Giannini, Farinetti, Zucconi (che lo chiamava elegantemente “reddito di gigginanza”), Raimo, Marattin, e con loro decine di altri politici, giornalisti e imprenditori di sinistra, almeno a parole. Uomini di successo, che da sinistra si scagliavano contro la misura più utile ai poveri di tutto il dopoguerra.

Tanti i luoghi comuni sul Reddito di cittadinanza pronunciati negli ultimi tre anni da sinistra

“È fuffa”, “è diseducativo”, “è assistenzialismo sterile”, “Spinge i giovani a stare sul divano”: sono luoghi comuni sul Reddito di cittadinanza pronunciati negli ultimi 3 anni da sinistra, quanto e più che da destra, con buona pace di chi come me si sbracciava a spiegare perché invece fosse utilissimo e andasse semmai migliorato e rafforzato.

Oggi che Giorgia Meloni pare intenzionata a cancellare l’unico provvedimento col quale la politica italiana ha messo soldi nelle tasche degli italiani anziché toglierli, improvvisamente a sinistra si svegliano tutti pro-reddito: giornalisti di area, testate, politici, imprenditori e così via.

Sarebbe una buona notizia (meglio tardi che mai!) se non svelasse un tremendo inganno che domina da decenni la politica italiana ed il dibattito tutto: qualunque cosa (persona, provvedimento, avvenimento, etc) non viene giudicata per cos’è realmente, ma per come conviene raccontarla.

La sinistra terrorizzata dall’arrivo di una forza che faceva davvero cose di sinistra, attacca comunque, a prescindere, a testa bassa, sconfessando numeri ed evidenze, ma soprattutto rinnegando sé stessa e i propri principi. Vizio purtroppo comune a tutti: destra centro e sinistra, quotidiani e conduttori di talk-show, sedicenti buoni e spudorati cattivi.

La lezione da imparare, dunque, oggi più che mai, è quella di essere obiettivi ed onesti intellettualmente. Ammettere gli errori, riconoscere i meriti altrui, pensare al bene dei cittadini e non al proprio particulare.

Così, forse, potranno (ri)nascere alleanze durature e comprese dall’elettorato, non accozzaglie pronte a sciogliersi alla prima curva o al primo drago incantatore. Così sarà anche più facile far capire a Giorgia Meloni che colpire con violenza i poveri non l’aiuterà nella difficilissima impresa di governare l’Italia, che già i suoi alleati fanno a gara a renderle impossibile. Ci pensi, Giorgia, ci pensi, la sinistra, ci pensi chiunque voglia far politica con la coscienza pulita.

L’autore dell’articolo è eurodeputato

 

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