Gli Stati Uniti spingono l’Ue alla guerra commerciale con la Cina

Dopo averci spinto a contrastare l'invasione dell'Ucraina Biden ora ci chiede pure di fermare l’avanzata della Cina con una guerra commerciale.

Prima ci ha coinvolti – per non dire obbligati – a contrastare la folle invasione dell’Ucraina da parte della Russia, scaricando su di noi quasi tutte le conseguenze, e ora ci chiede pure di lanciarci in un piano per fermare l’avanzata, al momento soltanto economica, della Cina con una guerra commerciale.

Dopo averci spinto a contrastare l’invasione dell’Ucraina Biden ora ci chiede pure di fermare l’avanzata della Cina con una guerra commerciale

Passano i mesi ma Joe Biden non perde il vizio di coinvolgere i suoi alleati, considerati alla stregua di pedine disposte su uno scacchiere e da muovere a proprio piacimento, per perseguire obiettivi e scopi che interessano soltanto agli Stati Uniti. In altre parole l’inquilino della Casa Bianca, in modo comprensibile, agisce in politica internazionale applicando una strategia muscolare atta unicamente a preservare lo status di unica superpotenza mondiale di cui godono gli americani.

Quello che appare meno comprensibile è il perché l’occidente, tutto, si limiti a prendere gli ordini dal presidente americano senza batter ciglio, letteralmente evitando anche la più minima e sacrosanta discussione. Certo l’Europa ha un debito di riconoscenza verso gli Usa ma questo non può bastare a spiegare un atteggiamento del tutto passivo e che ci rende gli zimbelli del mondo intero.

Si tratta di uno stucchevole copione che davanti a ogni crisi, vera o presunta che sia, si ripropone sempre tale e quale. Qualcosa che abbiamo già visto a febbraio scorso quando Vladimir Putin ha deciso di invadere uno Stato sovrano, l’Ucraina di Volodymyr Zelensky, sulla base di motivazioni letteralmente assurde. Un’azione militare, è bene sottolinearlo, da condannare senza se e senza ma nelle sedi opportune e che ha spaccato in due il mondo forse più della Guerra Fredda.

Una divisione che scientemente non viene raccontata dai media mainstream ma che appare evidente se si guarda a dati oggettivi come al fatto che la Nato – su input di Biden – ha iniziato a fornire armi a profusione a Kiev, e che i Paesi occidentali sotto dettatura della Casa Bianca non hanno perso occasione per varare pacchetti di sanzioni che stanno facendo più danni all’Europa che alla Russia.

Il tutto mentre il resto del mondo ha scelto di restare fuori dal conflitto, il quale sembra sempre più una guerra per procura, preferendo tenere aperti canali diplomatici come fatto soprattutto dalla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. A rendere tutto più grottesco c’è il fatto che gli Stati Uniti, la Nato e l’Ue, stanno rinunciando completamente a proporre soluzioni negoziali tra le parti con un atteggiamento che deve far sorgere qualche domanda al punto che è lecito chiedersi a chi giova questa tensione internazionale.

E la risposta non può che essere che alla Casa Bianca fa comodo che questo conflitto logori tanto Mosca quanto Bruxelles, ossia due potenziali concorrenti economici e militari. Che questo sia il caso lo si capisce anche dal fatto che ora che la Russia e l’Unione europea sono a pezzi, gli Stati Uniti non solo non sembrano voler calmare le acque per riportare tutti al tavolo delle trattative ma sembrano già pronti a colpire il loro prossimo obiettivo.

E com’è facile intuire si tratta della Cina con cui già l’ex presidente Donald Trump, ben conscio che Pechino è ormai una superpotenza economica – per giunta in rapidissima ascesa – e deciso a impedire che si affermasse anche militarmente nel Pacifico, ha intrapreso una guerra commerciale che neanche il suo successore Biden ha voluto interrompere.

Anzi l’attuale inquilino della Casa Bianca da tempo si è messo in testa di provocare Xi Jinping con continue azioni diplomatiche e con cessioni di armi a Taiwan, isola che la Cina reputa una sua regione ribelle. Manovre che di giorno in giorno assumono sempre più i connotati di una provocazione a tratti incomprensibile visto che perfino gli Stati Uniti non riconosco ufficialmente l’isola di Formosa come uno Stato indipendente e che Pechino non sembra minimamente intenzionato a invadere Taipei e dintorni, almeno per il momento.

Eppure tutto ciò non sembra interessare a Biden che di ora in ora lavora per ampliare lo schieramento di Stati pronti a seguire la sua crociata contro la Cina. Una guerra commerciale contro l’impero del draghone che è culminata nei divieti di cessioni di apparati tecnologici dall’occidente a Pechino e nell’impedire l’acquisto di apparecchiature cinesi legate al settore high tech.

Si tratta di misure che sono state imposte perfino ai Paesi alleati, tanto che aziende globali come Huawei sono state di fatto estromesse dal mercato globale, con l’aggravante che questi le hanno accettate senza battere ciglio. E il fatto che sia l’amministrazione repubblicana di Trump che quella democratica di Biden siano a favore di questa strategia della tensione contro il gigante asiatico non può che essere l’ennesimo tentativo disperato degli americani per mantenere lo status di unica superpotenza globale.

Aspirazioni legittime, almeno sotto il loro punto di vista, che comportano un prezzo altissimo. La cosa grottesca, semmai, è che quest’ultimo finisce tutto sulle spalle dell’Unione europea e della Cina che da anni stanno rinsaldando il reciproco legame commerciale. E che questo sia il vero movente delle azioni americane lo dimostra il fatto che tutte le misure atte a frenare l’economia di Pechino sono state conseguenti all’avvio del mastodontico progetto della cosiddetta “nuova via della seta” tra Europa e Cina.

Insomma appare evidente che gli Stati Uniti stanno giocando un’altra partita pericolosa, il tutto per perseguire una spietata politica internazionale che giova soltanto a loro. Un gioco pericoloso che, però, rischia di sfuggire di mano.