Non c’è dubbio che “il clima positivo e costruttivo” di cui ieri ha parlato la delegazione dem all’uscita del primo incontro con il Movimento cinque stelle, sia riferito ai temi e all’analisi di come e quanto possano combaciare il decalogo pentastellato con i cinque punti approvati all’unanimità dalla direzione Pd. Ma nel frattempo, proprio in virtù di un’intesa che via via si fa più concreta tra le due forze politiche, i pontieri sono al lavoro anche sull’ipotetica squadra di Governo. Secondo quanto risulta a La Notizia, nella fatidica telefonata raccontata pochi giorni fa da Repubblica tra Davide Casaleggio e Nicola Zingaretti, si sarebbe parlato dell’idea di un presidente del Consiglio donna. “La ragione – spiega una fonte pentastellata – è che scegliere per la prima volta nella storia della Repubblica una donna sarebbe vincente soprattutto da un punto di vista comunicativo, anche per rabbonire parte dell’elettorato sia del Pd che dei Cinque stelle che mal digeriscono questa nuova ipotetica maggioranza”. Ed è per questa ragione che sarebbe emerso, tra i più papabili, il nome della professoressa Marta Cartabia, oggi vicepresidente della Corte costituzionale. In alternativa resta sempre caldo il nome di Elisabetta Belloni, segretario generale della Farnesina. Entrambe le candidate, però, nonostante la spiccata autorevolezza, presenterebbero degli aspetti che non convincono fino in fondo: la Cartabia è legata al mondo di Comunione e Liberazione a cui, specie i Cinque stelle, non vogliono aderire; la Belloni sarebbe un profilo tecnico che potrebbe attirare critiche interne in un periodo già troppo delicato.
Ed ecco allora che l’altro nome caldo – “e oggi in vantaggio sugli altri”, confessa a mezza bocca un’altra fonte parlamentare – è quello di Enrico Giovannini. È questo il profilo su cui sta puntando l’ala “trattivista” del Pd. Economista, ambientalista, ex ministro del Lavoro (col Governo Letta), ha sempre avuto un occhio di riguardo alle fasce più deboli e, dunque, si potrebbe mediare sui temi caldi per i Cinque stelle: salario minimo e Reddito di cittadinanza. Tra i pentastellati, però, c’è chi ritiene che con Giovannini ci si possa troppo svendere alle richieste dem. Ed è per questo che per bilanciare i pesi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio potrebbe essere Vincenzo Spadafora, fedelissimo di Luigi Di Maio e senza ombra di dubbio uno dei più attivi nell’accordo Pd-M5S.
Restano, ovviamente, ministri e sottosegretari. L’antifona, confermano fonti parlamentari, è che gran parte dei sottosegretari M5S verranno riconfermati. Stesso discorso per tutti i ministri, fatta eccezione per Danilo Toninelli che potrebbe essere sostituito da Stefano Patuanelli. Sicuramente beneficeranno della nuova maggioranza Elisabetta Trenta e Sergio Costa che troveranno nuova linfa nell’intesa con i dem. Tema caldo, invece, è quello del Viminale: fino a ieri mattina in ambiente pentastellato si dava quasi per certo il nome di Graziano Delrio (o in alternativa il ritorno di Marco Minniti). Ma nelle ultime ore è spuntata l’ipotesi di un Luigi Di Maio, in un’inedita e interessante sfida con l’ex alleato, Matteo Salvini. Se così fosse, rimarrebbe scoperto il Lavoro che, tuttavia, resterebbe essendo tema identitario in quota M5S: tra i papabili anche la senatrice Nunzia Catalfo, relatrice del Reddito di cittadinanza. I dicasteri che rimarrebbero vacanti potrebbero finire ai democratici: a entrare nell’esecutivo potrebbero essere, oltre a Delrio, anche Andrea Orlando e Dario Franceschini, due che hanno sin da subito aperto alle trattative. “Non c’è dubbio, però – confida un pentastellato – che qualcosa ai renziani si dovrà pur dare”. Ed ecco allora che un altro nome da far rientrare nel governo (o sottogoverno) è quello di Lorenzo Guerini, uno di quelli che più si è speso per convincere la segreteria di Nicola Zingaretti a cedere a un’intesa con i Cinque stelle. Ultimo capitolo, la Farnesina: la strategia dei pentastellati, soprattutto se dovesse arrivare Giovannini a Palazzo Chigi, è quella di mantenere nel Governo Giuseppe Conte, per alcuni di fatto il nuovo (e prossimo) leader del Movimento (a riprova, l’ultimo post di Beppe Grillo). Ed è proprio per questa ragione – è il timore di molti – che Zingaretti non vuole averlo nell’esecutivo: per non dargli forza e credito e sperare che possa pian piano scomparire. Quel che in ultima istanza pare certo è che Conte, in un modo o nell’altro, rimarrà. Come ministro o come commissario Ue siccome è stato proprio lui ad accreditare l’Italia con Ursula von der Leyen. A meno che i Cinque stelle non riescano nell’intento – ad oggi molto remoto – di mantere l’avvocato del popolo a Palazzo Chigi.