Gratteri silurato all’Antimafia. “I clan stanno già festeggiando”. Parla il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura. “È un magistrato troppo inviso alla politica”

Il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura commenta a La Notizia la mancata nomina di Nicola Gratteri alla Dna.

Luigi Bonaventura è stato il giovane rampollo di una storica famiglia di ‘ndrangheta prima e poi egli stesso un boss di quell’organizzazione criminale che Nicola Gratteri, come pochi altri prima, sta combattendo. Non solo con le indagini e i processi, ma anche con un’importante attività di divulgazione che porta avanti oramai da anni con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica.

Questo, però, non gli è bastato – o, forse, è stata proprio ritenuta la sua principale colpa – per essere nominato Procuratore Nazionale Antimafia dopo Federico Cafiero De Raho, con cui Gratteri aveva lavorato alla Procura di Reggio Calabria. Ha prevalso la linea del rigore e del la riservatezza di Giovanni Melillo (leggi l’articolo), Procuratore di Napoli, anche lui grande esperto di criminalità organizzata di tipo mafioso.

Ma di sicuro un simbolo dell’antimafia, quale è Gratteri, non è stato riconosciuto dalle istituzioni. Come possono aver preso la mancata nomina di Gratteri alla Direzione Nazionale Antimafia le cosche calabresi lo spiega a La Notizia proprio Luigi Bonaventura, che ora è un collaboratore di giustizia.

Luigi, come avrà appreso la ‘ndrangheta la bocciatura di Gratteri da parte del Csm?
“Nulla togliere al valore del dottor Melillo, ma sicuramente la ‘ndrangheta e le altre organizzazioni mafiose avranno appreso la notizia con grande soddisfazione, perché il dottor Gratteri ha dimostrato non solo le sue spiccate capacità investigative ma anche di orgnizzazione del lavoro all’interno di una procura e fra diverse procure. Quella di Catanzaro l’ha fatta diventare una superprocura contro la ‘ndrangheta, come prima non era. Si presume quindi che avrebbe potuto fare molto bene anche alla Procura Nazionale”.

Gratteri rappresenta anche un simbolo e le mafie ragionano spesso per simboli. Pensa che le istituzioni abbiano ridimensionato un vessillo della lotta ai clan?
“E’ indubbio che le mafie si nutrano anche di simboli e in alcuni casi, per combatterle, è necessario adoperare anche le loro armi. Per questo sarebbe stato, anche a livello simbolico, uno scacco all’animo delle organizzazioni criminali”.

Si è fatto allora un’idea del perché non è stato nominato?
“Sicuramente sono stati usati altri criteri che hanno portato il Csm a preferire il dottor Melillo. Ma non escludo che possano aver contribuito anche le sue numerose indagini sulla mafia dei palazzi. Non si può negare che il dottor Gratteri sia parecchio inviso a molte correnti politiche”.

Da ex esponente della ‘ndrangheta, ritiene che ora Gratteri sia più a rischio?
“Io penso che sia un magistrato altamente a rischio già da molto tempo, soprattutto per la sua mentalità rivoluzionaria di fare antimafia. Inoltre se deve contestare alcune leggi che trova imprudenti lo fa senza scrupoli. Se c’è da contestare le istituzioni lo fa e anche per questo è molto inviso e quindi a rischio. Quando la ‘ndrangheta uccide qualcuno così in vista lo fa perché ci sono anche altri tipi di influenze. E in tal senso non mi stupisce che la notizia dell’attentato arrivi dall’estero: spesso, infatti, ci sono anche interessi internazionali dietro all’eliminazione di qualcuno. E Gratteri sta lavorando molto anche sulle mafie transnazionali. Ora dobbiamo essere bravi tutti noi a proteggerlo e a sostenerlo”.

A proposito dei rapporti internazionali della ‘ndrangheta, recentemente Gratteri ha espresso preoccupazioni sul rischio che le armi che stiamo dando all’Ucraina per difendersi dall’invasione russa possano poi finire nelle mani dei clan. Pensa che sia un rischio concreto?
“Questo è fisiologico, perché le mafie sono alla ricerca di business e le guerre portano business. Abbiamo visto con la guerra dei balcani quante armi sono poi arrivate in Italia. Nella mia zona, tramite l’Albania, i famigerati kalashnikov arrivavano a casse. Ma il problema non è soltanto che queste armi arriveranno in Italia, sicuramente lo zampino delle mafie italiane andrà oltre: si faranno degli affari per cui queste armi andranno a finire ad altre forme di criminalità, comprese quelle terroristiche”.

Con la sua attività di divulgazione, Gratteri ha anche coinvolto molto i cittadini nella lotta alle mafie. Oggi si parla ancora abbastanza di criminalità?
“Oggi parlare di mafia in Italia è diventato un tabù. Tanti sostengono addirittura che la mafia non esista più, perché si riferiscono a quella stragista. La verità è che ora tutti vogliono chiudere gli occhi”.