C’è una domanda che gira negli ambienti parlamentari e governativi: come mai proprio in questi giorni è tornato di stringente attualità il tema degli F-35? Prima il retroscena del Corriere (smentito da Palazzo Chigi) secondo cui Giuseppe Conte avrebbe rassicurato Mike Pompeo sulla disponibilità dell’Italia ad andare avanti sul progetto militare; poi ieri sempre sul Corriere l’intervista spiazzante del ministro della Difesa Lorenzo Guerini: “Avanti con gli F-35” perché c’è un “bisogno oggettivo e non rinviabile” e soprattutto “bisogna garantire efficienza operativa dello strumento militare”.
La ragione di questo tourbillon di dichiarazioni e retroscena (smentiti) risiede nel fatto che entro novembre l’Italia dovrà dire agli Stati Uniti se intende o meno aderire alla Fase 2 del programma militare. Pochi sanno, infatti, che l’iter è diviso in 3 fasi: la prima è stata una sorta di pre-serie e ci ha portato ad acquistare 28 caccia (sui quali, come si sa, non possiamo tornare indietro); la seconda è la prima parte della produzione di serie; la terza è la ultima fase della full-rate production. Ed ecco il punto: dopo alcun rinvii e tentennamenti è arrivato il momento per il nostro Paese di decidere sulla Fase 2, che sarà una sorta di aut-aut: in linea di massima aderire a questa fase significa sobbarcarsi nuovi 27 caccia. Prendere o lasciare.
IL GIUSTO COMPROMESSO. Qui subentra Guerini: le sue dichiarazioni lasciano pensare che l’orientamento della Difesa sia quello di dare avvio alla Fase 2, il che vuol dire arrivare a un totale di 55 F-35 in possesso delle forze militari italiane. La stessa ricostruzione secondo cui Conte avrebbe dato la sua parola a Pompeo sarebbe riferita non all’intero programma militare (90 caccia) ma ai 55 della Fase 1 e Fase 2. Ed ecco allora che dare l’ok oggi agli Stati Uniti per questa tranche non comprometterebbe la rinegoziazione dell’intero programma militare: nulla vieta – fanno sapere da ambienti vicini alla Difesa – che ci si potrebbe fermare a 55 caccia senza arrivare ai 90 totali previsti dal nostro Paese.
Sarebbe, questa, una giusta mediazione tra due anime differenti all’interno della maggioranza: da una parte i 5 Stelle in blocco (o quasi) contrari all’acquisizione di un caccia criticato dagli stessi vertici militari americani; dall’altra il Pd che – Guerini docet – non vuole fare passi indietro. La soluzione, peraltro, avrebbe senso dato che da più parti, nel corso degli anni, si è parlato di dimezzamento o comunque di riduzione della commessa da 90 caccia a 45/50. Il cerchio, in questo caso, si chiuderebbe. Con buona pace di chi continua a parlare di rischio penali: come spiegano fonti qualificate, le penali scatterebbero solo sulle fasi produttive avviate (ad esempio se si tornasse indietro sui 28 aerei già acquisiti); nessuna multa ci sarebbe se si dicesse no a una Fase ancora da avviare.
CINQUE STELLE AL LAVORO. Nel frattempo il Movimento non è oggi né è stato con le mani in mano nel corso di questi mesi. Secondo quanto risulta a La Notizia, un documento interno ai Cinque Stelle dimostrerebbe come non sono poche le alternative agli F-35 nel caso in cui si rinegoziasse il programma. Per quanto riguarda i caccia leggeri, ad esempio, si potrebbe optare per gli M-346FA (Fighter Attack): sono più affidabili degli F-35, costano un quinto e sono già in vendita (non bisogna svilupparli). Con un altro piccolo particolare: essendo totalmente made in Italy, ne beneficerebbero esclusivamente le casse italiane.