I negoziati per un cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi tra Israele e Hamas resteranno congelati fino a quando non sarà risolta la crisi alimentare nella Striscia di Gaza. Lo ha annunciato il movimento islamista palestinese, che accusa il premier israeliano Benjamin Netanyahu di aver deliberatamente provocato una carestia nei territori assediati.
In una nota ufficiale, Hamas afferma la propria disponibilità a “riprendere i negoziati solo dopo che gli aiuti saranno arrivati a chi ne ha bisogno e che la crisi umanitaria e la fame a Gaza saranno terminate”. Secondo il movimento, proseguire le trattative in questo contesto sarebbe “assurdo e inutile”, soprattutto dopo che Israele “si è ritirato la scorsa settimana senza alcuna giustificazione, quando eravamo vicini a raggiungere un accordo”.
La risposta israeliana: “Solo resa totale”
La posizione di Hamas arriva in un clima politico e militare sempre più teso. Il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, esponente dell’estrema destra, ha escluso categoricamente l’ipotesi di nuovi colloqui su un accordo parziale: “L’unico accordo possibile – ha dichiarato – è la completa resa di Hamas, il ritorno di tutti i nostri ostaggi senza condizioni, il disarmo e la smilitarizzazione di Gaza, l’esilio dei leader di Hamas e la possibilità di lasciare la Striscia a chi lo desidera”.
L’allarme dell’Onu: “Oltre 1.300 morti per la fame”
Sul piano umanitario, la denuncia più grave arriva dalle Nazioni Unite. Secondo l’Alto commissariato Onu per i diritti umani, dal 27 maggio a oggi almeno 1.373 palestinesi sono stati uccisi mentre cercavano cibo e acqua nella Striscia di Gaza.
Il rapporto, basato su dati raccolti dall’agenzia per i territori palestinesi e diffuso dall’AFP, precisa che 859 persone sono state uccise nelle vicinanze dei siti di distribuzione degli aiuti e 514 lungo le rotte dei convogli alimentari. La maggior parte delle vittime, secondo l’Onu, sarebbe stata colpita dal fuoco dell’esercito israeliano.