“Hamas smobiliti o si tornerà a combattere”: Netanyahu già fa tremare la Pace a Gaza

“Hamas smobiliti o sarà guerra”. Da Benjamin Netanyahu dichiarazioni shock che fanno già tremare la fragile Pace raggiunta a Gaza

“Hamas smobiliti o si tornerà a combattere”: Netanyahu già fa tremare la Pace a Gaza

Dopo la riunione fiume di giovedì, andata avanti fino a notte fonda, è arrivato l’agognato via libera del governo di Benjamin Netanyahu al piano per il rilascio di tutti gli ostaggi, vivi e morti, e all’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza. Una decisione storica, osteggiata fino all’ultimo secondo dai ministri israeliani e leader dell’estrema destra Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che ha permesso nella tarda mattinata di ieri il ritiro dell’esercito israeliano lungo la Linea Gialla – che separa la Striscia di Gaza da Israele – e dato il via al conto alla rovescia per il rilascio di tutti i prigionieri ancora in mano ad Hamas, che dovrà avvenire tassativamente entro 72 ore.

Una tregua fragile, già minacciata da scontri a fuoco tra i miliziani e l’Idf, nonché dai raid dell’aviazione israeliana andati in scena dopo l’inizio del cessate il fuoco, per la quale il movimento terroristico palestinese ha rivolto un appello a tutti i cittadini della Striscia affinché evitino di “cadere nelle provocazioni” dell’Idf e, soprattutto, “cooperino alla buona riuscita del Piano di Pace” promosso dal presidente americano Donald Trump.

L’avvertimento di Bibi ad Hamas

Del resto, il rischio che qualche incidente possa far riesplodere il conflitto è alto, come ha fatto capire molto chiaramente il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu. “Stiamo stringendo Hamas da ogni lato in vista delle prossime fasi del piano, che prevede il suo disarmo completo e la smilitarizzazione di Gaza. Se ciò sarà raggiunto in modo pacifico, tanto meglio. Se no, sarà raggiunto con la forza”, ha tuonato il leader di Tel Aviv nella sua dichiarazione ai media. Lo stesso Bibi, strizzando l’occhio a Ben Gvir e Smotrich, che anche ieri hanno minacciato una crisi di governo, ha precisato che “le forze armate israeliane rimangono nella Striscia di Gaza per fare pressione su Hamas e indurre il gruppo terroristico al disarmo”.

“Nei prossimi giorni tutti gli ostaggi torneranno a casa”, ha proseguito Bibi, spiegando che “chiunque affermi che l’accordo sugli ostaggi era sul tavolo dall’inizio semplicemente non dice la verità”, in quanto “Hamas non ha mai acconsentito a liberare tutti gli ostaggi” e lo sta facendo “solo dopo aver sentito la spada alla gola e solo dopo che il piano di Trump l’ha isolata a livello internazionale in un modo senza precedenti”.

Il ritiro parziale dell’Idf dalla Striscia di Gaza

Con l’inizio del cessate il fuoco e conformemente a quanto pattuito tra le parti, l’Idf ha completato il ritiro verso le linee di schieramento concordate. Si tratta di un ritiro parziale, visto che le truppe israeliane manterranno il controllo di poco più della metà del territorio della Striscia, per l’esattezza il 53%.

A rimanere sotto la vigilanza di Tel Aviv sarà una zona cuscinetto istituita lungo l’intero confine di Gaza, il Corridoio di Filadelfia – ossia l’area di confine tra l’Egitto e l’enclave palestinese –, parte della periferia orientale di Gaza City e ampie porzioni delle aree meridionali di Rafah e Khan Yunis. Per evitare incidenti tra Hamas e l’Idf, presto arriveranno duecento militari statunitensi che si uniranno a una task force di pace alla quale parteciperanno anche truppe di Egitto, Qatar e Turchia.

Stallo sulle liste di prigionieri palestinesi da liberare

Con l’accordo di pace raggiunto, sui media statunitensi sono comparse le prime dichiarazioni – da parte di funzionari dell’amministrazione Trump che hanno chiesto l’anonimato – secondo cui la svolta in questa trattativa è arrivata negli ultimi mesi, quando “Hamas ha iniziato a considerare gli ostaggi più come un peso che come una risorsa”.

Un punto che sarebbe stato sfruttato, fortunatamente con successo, dai mediatori, che sono riusciti a portare a termine una trattativa lunga e complicata, ma che richiede ancora lavoro per perfezionarne i dettagli operativi. Infatti, le trattative tra le parti non si sono ancora esaurite, poiché manca l’accordo – anch’esso previsto dal Piano di Pace di Trump – sui 1.950 palestinesi da liberare. “Al momento non è stato raggiunto alcun accordo sulle liste dei prigionieri, e le liste in circolazione sui prigionieri destinati al rilascio nell’ambito dell’accordo di scambio sono inesatte”: è quanto si legge nel comunicato stampa diffuso dall’Ufficio media dei prigionieri palestinesi (Asra), secondo cui Israele starebbe facendo circolare queste liste “per fare pressione e ostacolare il corso dei negoziati”.

Nodo da risolvere

Il nodo, com’è facilmente intuibile, riguarda la liberazione di alcune figure chiave di Hamas, tra cui spicca il nome di Marwan Barghouti. Su quest’ultimo, gli Usa e gli altri mediatori avevano dato il proprio benestare alla scarcerazione, tanto che il suo nome era finito nella prima lista accettata anche dal gruppo palestinese. Tuttavia, il governo Netanyahu, in modo unilaterale, ha posto il veto, facendo sapere che Barghouti “non sarà liberato”.

In tutto questo, nella Striscia di Gaza la tensione resta alta. Dopo l’inizio del cessate il fuoco, sono stati registrati combattimenti – nei quali ha perso la vita il soldato dell’Idf Michael Mordechai Nachmani e diversi civili palestinesi – e sono stati segnalati anche bombardamenti su Gaza e Khan Yunis. Azioni che hanno scatenato il botta e risposta tra l’Idf e Hamas, che si sono accusati reciprocamente di mettere in atto provocazioni con il preciso scopo di “far naufragare il cessate il fuoco”, così da riprendere la guerra.