Hamas e le altre fazioni palestinesi annunceranno nelle prossime ore la loro risposta al piano statunitense per Gaza, presentato come proposta per porre fine alla guerra ma che, senza correttivi, rischia la bocciatura. Secondo quanto rivelato dal quotidiano egiziano Al-Masry Al-Youm, il movimento islamista intende avanzare una serie di osservazioni e condizioni ritenute imprescindibili, soprattutto sul tema della smilitarizzazione e della gestione futura della Striscia.
Le richieste palestinesi: ritiro israeliano e ricostruzione immediata
Fonti citate dal giornale spiegano che Hamas ha già individuato quattro punti chiave da modificare nel testo:
- garanzie sul ritiro delle forze israeliane da Gaza,
- apertura stabile per gli aiuti umanitari,
- rifiuto di qualsiasi annessione della Cisgiordania,
- divieto assoluto di trasferimento forzato dei palestinesi dalle proprie terre.
Un nodo centrale resta quello delle armi della resistenza. Le fazioni considerano il possesso un “diritto legittimo”, ma Hamas si è detta disponibile a discutere soluzioni transitorie, come lo stoccaggio degli armamenti sotto garanzie internazionali. Altro punto delicato è lo scambio di ostaggi e salme, che dovrebbe avvenire per fasi, accompagnato da un piano di ricostruzione da avviare subito dopo.
Il contenuto del piano USA
Il documento, consegnato a Hamas tramite mediatori e classificato “top secret”, prevede il dispiegamento a Gaza di una forza internazionale temporanea di stabilizzazione, composta da partner arabi e occidentali, incaricata di addestrare le forze di polizia palestinesi in coordinamento con Egitto e Giordania. Questo organismo dovrebbe anche supervisionare l’ingresso degli aiuti umanitari e monitorare la ricostruzione.
Il piano americano stabilisce inoltre che il ritiro dell’esercito israeliano avvenga in modo graduale, nell’ambito di un accordo amministrativo provvisorio. Tra i punti più contestati, vi sono le clausole che impongono la smilitarizzazione di Gaza, la distruzione dei tunnel e il divieto di ricostruzione delle infrastrutture militari.
Le divergenze, secondo Al-Masry Al-Youm, si concentrano sugli articoli 3, 9, 13, 15, 16 e 18 del testo, relativi alla gestione della sicurezza, al ruolo delle fazioni armate e alla governance della Striscia.
Il ruolo dell’Egitto e la prospettiva dei due Stati
Il Cairo resta al centro della mediazione. Il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, intervenendo al summit di sicurezza di Al-Ula in Arabia Saudita, ha ribadito che ogni soluzione deve basarsi sulla prospettiva dei due Stati. Ha ricordato inoltre che il vertice arabo del marzo scorso, tenutosi al Cairo, ha istituito una commissione amministrativa palestinese indipendente dalle fazioni, pensata per gestire temporaneamente Gaza fino al ritorno dell’Autorità Palestinese.
L’Egitto, insieme ai partner regionali, spinge perché il piano statunitense non diventi un’ennesima occasione mancata, ma la diffidenza di Hamas resta alta. Senza modifiche sostanziali, la proposta rischia di naufragare prima ancora di arrivare a un tavolo negoziale formale.