I Giochi proibiti di Orban. Con il muro della vergogna può scordarsi le Olimpiadi. Dopo filo spinato e sgambetti è una follia affidare a Budapest l’evento sportivo

Fin dai tempi del barone De Coubertin le Olimpiadi hanno sempre avuto un significato di unione tra i popoli. Di pace. Di sfide sportive nel segno del fair play. Lo spirito olimpico. Lo stesso che possiede Viktor Orban, il primo ministro ungherese. L’uomo che vuole il muro per non far entrare i migranti. Che senza pudore ha il coraggio di iscrivere Budapest tra le cinque candidate alle Olimpiadi del 2024. Pensate che paradosso, o per rimanere in tema olimpico sarebbe meglio dire che rovescio della medaglia: Orban erge il muro contro i migranti e ha la sfrontatezza di volere organizzare i Giochi. Lui che la fiaccola accesa la lancerebbe contro i rifugiati al confine. E che i cinque cerchi li vede solo nel filo spinato che srotola alle frontiere. Vista la sua ospitalità, ormai famosa in tutto il mondo, Orban dovrebbe avere il senso del pudore di ritirare la candidatura. Almeno sarebbe coerente con la sua politica. Già il fatto che Budapest sia ai nastri di partenza rappresenta una vergogna. Uno scandalo. Non si può costruire un muro alle frontiere e nello stesso tempo allestire un villaggio olimpico che ospiti gli atleti di tutto il mondo. La situazione politica ha sempre inciso nella scelta delle sedi olimpiche. In verità qualche scivolone c’è pure stato, come i Giochi di Mosca e di Los Angeles – del 1980 e 1984 – caratterizzati dai boicottaggi, nonché le Olimpiadi di Berlino del 1936 nelle quali – per fortuna – si ricorderà più la vittoria di Jesse Owens che la parata dell’impero nazista.

LA VERGOGNA
Ve le immaginate le Olimpiadi a Budapest? Con le facce cattive dei poliziotti che picchiano, arrestano, braccano l’atleta siriano, iracheno o afgano. Che se poi dovesse farcela a fuggire verrebbe fermato dai reporter, pronti a fare lo sgambetto infame. Con il villaggio olimpico perimetrato dal filo spinato, tanto per evocare meglio i campi dell’Olocausto. No, grazie. Caro Orban, tieniti il tuo muro e lascia stare lo spirito olimpico. Le Olimpiadi sono un’altra cosa.

LA CORSA
Dopo la rinuncia di due colossi come Boston e Toronto, crescono le chance di Roma di accendere la fiaccola del 2024. Anche considerando il fatto che la Capitale ci ha provato invano in più occasioni. E prima o poi aspetta la ricompensa. Lasciando stare Budapest, perché non pensiamo che il Cio abbia voglia di prendersi gli insulti di mezzo mondo, restano in lizza Los Angeles, Amburgo, Parigi e appunto Roma. La città californiana sarebbe al terzo mandato, avendo già organizzato i Giochi del 1932 e del 1984. In realtà ci sembra un po’ troppo. Anche per una città unica come Los Angeles. Per Amburgo invece sarebbe la prima volta. Ma la città tedesca è brutta e non fa certo gola agli sponsor come Parigi e Roma. Il duello è tra le due capitali, entrambe al secondo giro, avendo già organizzato i Giochi del 1924 e del 1960. Attenzione a Parigi. I francesi partono favoriti perché riavrebbero le Olimpiadi esattamente un secolo dopo. Una suggestione che può far la differenza.