Il canto del cigno di Juncker & C. L’Italia è a un passo dalla procedura d’infrazione ma i conti non tornano

La regola del debito “non è stata rispettata” nel 2018 e nel 2019 e non lo sarà nel 2020. Ed è quindi “giustificata” una procedura per deficit eccessivo per violazione di quella regola, in base alla quale il rapporto debito/pil deve rimanere sotto il 60% e, se superiore, deve almeno essere diminuito con un ritmo adeguato. Il giudizio perentorio della Commissione Ue nell’atteso rapporto sul debito italiano è diventato ufficiale: il nostro Paese è a serio rischio procedura d’infrazione. C’è una significativa differenza rispetto al novembre dello scorso anno, quando Bruxelles prese la stessa posizione sui conti italiani sulla base della prima versione della legge di Bilancio: stavolta nel mirino non c’è il debito del 2017, eredità dell’esecutivo precedente, ma quello del 2018, frutto delle decisioni del Governo gialloverde.

Lo scorso anno, invece di scendere, il debito/pil è salito dal 131,4 al 132,2% del Pil e per quest’anno Bruxelles lo prevede al 133,7%. Debito che, ricorda la Commissione nel suo documento, “pesa per 38.400 euro ad abitante oltre ai 1000 euro a testa per rifinanziarlo”. “Io sono sempre determinato e ottimista, farò ogni sforzo per scongiurare una procedura di infrazione”, ha commentato Giuseppe Conte, anticipando l’intenzione di avviare una trattativa. “La mia porta resta aperta”, ha ribattuto il commissario Pierre Moscovici.

LE RISERVE DELLA COMMISSIONE. Il rapporto della Commissione, presentato ieri da Valdis Dombrovskis, è molto chiaro nell’attribuire al governo in carica la responsabilità della “deviazione” e sottolinea che “il peggioramento dello sforzo strutturale che risulta dalle previsioni di primavera del 2019 rispetto a quelle del 2018 è stato in larga parte dovuto a una spesa per interessi più alta del previsto, conseguenza dell’aumento degli spread registrato da quando il nuovo governo si è insediato nel maggio 2018”. Inoltre il rallentamento economico a cui si era appellato il ministro dell’Economia Giovanni Tria nella sua lettera di risposta alla richiesta di chiarimenti “spiega solo in parte l’ampio gap” nel rispetto della regola.

Il dito è puntato soprattutto su Quota 100: “Le recenti misure messe in atto fanno marcia indietro su parti di riforme attuate in precedenza, anche in relazione al sistema pensionistico“, indebolendo “la sostenibilità a lungo termine” delle finanze. E all’Ue non sono bastate le rassicurazioni di Tria. Per quanto riguarda la prospettiva di entrate maggiori del previsto e minori spese grazie ai “risparmi” su Reddito di cittadinanza e Quota 100, infatti, “questi fattori appaiono plausibili ma potranno essere confermati solo quando ci saranno maggiori dati”.

STIME DIFFERENTI. Nonostante i rilievi della Commissione guidata da Jean-Claude Juncker siano chiari e circostanziati, lascia perplessi in campo parlamentare il fatto che l’avvio della procedura potrebbe portare a una multa da 3,5 miliardi, che è relativamente poca cosa rispetto alla mole della spesa pubblica italiana. Senza dimenticare che, per quanto riguarda il 2019, parliamo di stime e previsioni. Peraltro differenti rispetto a quelle specificate e argomentate dal nostro Paese nella lettera inviata alcuni giorni fa a Bruxelles. Ciononostante, con la procedura il nostro Paese diventerebbe una sorta di “sorvegliato speciale” e dovrebbe impegnarsi ad un percorso di riduzione del debito (e anche del deficit strutturale) più stringente di quello possibile per chi fa ancora parte dei “buoni”.

Ed è anche per questa ragione che il presidente del Consiglio Conte ha assicurato che il Governo non intende intervenire in corsa con una correzione. “Non è all’orizzonte un manovra correttiva. Dal monitoraggio dei conti pubblici, effettuato costantemente, emerge come si sta operando una sorta di autocorrezione naturale. Lo spiegheremo bene a Bruxelles, l’obiettivo programmato lo stiamo raggiungendo, conti diversi da quelli prefigurati da Ue”, ha detto. Resta, però, la minaccia concreta della procedura che ora il Governo italiano deve disinnescare in fretta. Perché, tra le altre cose, l’Ue ha dato un ultimatum di sole 48 ore.