Il Centro è mobile, le alleanze a geometria variabile per le Regionali lo dimostrano. E il partito di Calenda è la variabile impazzita

Alle regionali d’autunno il centro si divide ovunque: alleanze provvisorie, veti incrociati e nessun progetto comune

Il Centro è mobile, le alleanze a geometria variabile per le Regionali lo dimostrano. E il partito di Calenda è la variabile impazzita

Alle regionali d’autunno, il cosiddetto Terzo Polo, ormai diventata galassia, conferma la sua natura sfuggente: un’orbita che non riesce a stabilizzarsi, fatta di coalizioni mutevoli, veti incrociati e alleanze a geometria variabile. Nessun baricentro, solo traiettorie provvisorie che cambiano da confine a confine, e che consegnano agli elettori un mosaico incoerente.

Marche, Calabria, Toscana: tre laboratori di instabilità

Nelle Marche, dove si voterà il 28 e 29 settembre, Italia Viva e Più Europa si schierano senza esitazioni con Matteo Ricci, candidato del Partito democratico ed ex sindaco di Pesaro. Azione invece ha scelto di restare fuori, con Carlo Calenda che ha bollato Ricci come privo dello «spessore politico e della tempra morale» per guidare la Regione, accusandolo di inseguire «le banderuole di Verdi e M5S».

In Calabria, la frattura è ancora più evidente. Il campo largo ha deciso di puntare su Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps ed eurodeputato M5S. Italia Viva lo sostiene attraverso la lista “Casa riformista”, Più Europa lo accompagna nello stesso fronte, mentre Azione si tira indietro a livello nazionale. Solo alcuni dirigenti locali hanno scelto di candidarsi comunque al fianco della coalizione, rinunciando al simbolo. Per Renzi, che fino a ieri criticava Tridico come padre del reddito di cittadinanza, il candidato è oggi «una figura indiscutibile e super partes».

La Toscana offre un copione simile. Eugenio Giani si ricandida con l’appoggio di PD e M5S. Italia Viva e Più Europa sono della partita. Azione invece si defila dopo l’accordo tra democratici e pentastellati, che Calenda ha bollato come «assurdo», provocando le dimissioni del segretario regionale Marco Remaschi. Giani, intervistato dalla stampa locale, ha liquidato la vicenda come un’operazione di «visibilità nazionale» del leader di Azione.

Veneto, Campania, Puglia: i giochi aperti

In Veneto, la data del voto non è ancora ufficiale ma arriverà entro novembre. Il centrosinistra si è schierato con Giovanni Manildo, ex sindaco di Treviso, sostenuto già da PD, AVS, M5S e Più Europa. Italia Viva e Azione restano indecise, prigioniere di calcoli che oscillano tra l’opportunità di rafforzare il fronte progressista e la paura di trovarsi in un’alleanza troppo larga.

In Campania, la coalizione ha scelto Roberto Fico, ex presidente della Camera e volto M5S. Italia Viva lo sostiene, Più Europa si dice pronta a fare altrettanto, ma Azione alza barricate: per Calenda, Fico rappresenta «quasi tutto il male di questo Paese». Non è un dettaglio secondario: dietro il veto c’è anche il termovalorizzatore di Acerra, che Fico vorrebbe chiudere. Calenda, in un crescendo polemico, non esclude nemmeno di appoggiare un candidato moderato di centrodestra.

In Puglia, invece, il “centro” si ricompone miracolosamente. Antonio Decaro, ex sindaco di Bari, è il candidato di unità del centrosinistra. Italia Viva lo definisce «il più bravo», Azione lo considera «moderato e riformista», Più Europa lo appoggia senza riserve. Qui, almeno per una volta, il centro sembra trovare una gravità comune, seppur per convenienza.

Valle d’Aosta: la frantumazione permanente

La Valle d’Aosta, laboratorio per definizione di micro-alleanze, conferma la regola. La Renaissance Valdôtaine ha rotto con il centro e si è spostata nel perimetro del centrodestra, mentre gli “Autonomisti di Centro” restano orfani di un candidato. Persino Azione si divide: alcuni dirigenti locali hanno aderito a Forza Italia, altri si sono presentati in solitaria. Nessun collante, se non la necessità di sopravvivere.

Un campo che si accende e si spegne

Il quadro che emerge è il solito: il cosiddetto “centro” è un assembramento privo di vincoli, di progetto e di un’agenda comune. Italia Viva e Più Europa scelgono quasi ovunque il campo progressista, pur tra capriole e ricuciture improvvise. Azione resta la variabile impazzita: un giorno corteggia il centrosinistra, il giorno dopo lo abbandona, talvolta strizza l’occhio al centrodestra. Ogni regione è un caso a sé, ogni candidato un’occasione per riallinearsi o sganciarsi.

In realtà, più che un’area politica, i cosiddetti liberali italiani sono un campo magnetico intermittente: si accende su dossier specifici, come i termovalorizzatori o i rapporti con i 5 Stelle, e si spegne quando il calcolo nazionale prevale sulla coerenza locale. A mancare è la “gravità permanente” di cui forse avrebbe bisogno per diventare credibile. Oppure semplicemente l’ex Terzo polo rivendica il diritto di scegliere di volta in volta quale politica dei due forni, di andreottiana memoria, voler usare. Resta quindi un dubbio: ci sono le basi per un eventuale “campo largo” nazionale da presentare alle prossime elezioni?

E l’elettore? Per ora si ritrova davanti a un’etichetta “riformista” che cambia latitudine e senso a seconda della regione. Una bussola che indica nord e sud nello stesso momento, costringendo chi osserva a chiedersi se si tratti ancora di politica o solo di navigazione a vista.