“Il governo è venuto a mani vuote per buttare la palla in tribuna”: parla Barzotti (M5s)

Sul salario minimo "la battaglia non si ferma qui": l'intervista alla capogruppo M5s in commissione Lavoro, Valentina Barzotti.

“Il governo è venuto a mani vuote per buttare la palla in tribuna”: parla Barzotti (M5s)

Mercoledì la premier Giorgia Meloni aveva ribadito il suo no al salario minimo. Valentina Barzotti, capogruppo M5S in commissione Lavoro della Camera, ha avuto senso andare ieri a Palazzo Chigi?
“Sì. Non ci siamo mai sottratti al confronto e non lo abbiamo fatto nemmeno stavolta. Ma, come temevamo, il governo si è presentato a mani vuote. Dopo mesi di discussione in commissione Lavoro alla Camera, l’unica ‘idea’ della premier Meloni è stata quella di coinvolgere il Cnel di Brunetta. Cnel che peraltro abbiamo già audito nella stessa commissione. A noi sembra voler gettare la palla in tribuna. La nostra proposta rimane sul tavolo, oggi più che mai”.

Meloni continua a sostenere che il salario minimo potrebbe essere controproducente rischiando di livellare i salari verso il basso. Come replicate?
“Che è falso, e ripetendolo ha dimostrato per l’ennesima volta di non aver letto neanche una riga della nostra pdl. Quest’ultima non è volta solo a rafforzare la contrattazione collettiva ‘sana’, stabilendo che al lavoratore di ogni settore sia riconosciuto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative, ma istituisce una soglia ‘di garanzia’ – 9 euro lordi l’ora – sotto cui nessun contratto può scendere. Ma attenzione: se un Ccnl oggi ha una retribuzione minima di 6 o 7 euro, questa salirà a 9 euro; ma se essa è fissata a 10 o 11 euro, tale resterà. Ecco perché non potrà mai, e sottolineo mai, esserci uno scivolamento verso il basso dei salari”.

Walter Rizzetto da deputato di FdI quattro anni fa non la pensava così. È tutto nero su bianco nella sua proposta di legge presentata nel 2019.
“È così. Nella sua pdl, Rizzetto scriveva testualmente che ‘non si ritiene condivisibile la tesi espressa da alcune organizzazioni sindacali, le quali affermano che l’istituto in questione (il salario minimo, ndr) avrebbe effetti negativi, poiché porrebbe le basi per una diminuzione dei salari nel medio termine. Riconoscere un salario minimo, invece, è un provvedimento necessario per sostenere i lavoratori poveri e riconoscere il lavoro come strumento di dignità, in coerenza con i fondamentali princìpi della Repubblica’. Esattamente l’opposto di ciò che sostengono oggi la premier Meloni e molti esponenti di governo. Grande è la confusione sotto il cielo dei ‘patrioti’…”.

Dalla maggioranza finora non sono arrivate proposte fatta eccezione per quella di Forza Italia che non fissa una soglia minima oraria, ma punta ad adeguare i salari non coperti da contratto collettivo a quello previsto dal contratto nazionale leader per il settore di riferimento. Perché è una proposta insufficiente?
“Perché coprirebbe il 5% dei lavoratori e alcuni settori, uno su tutti quello della vigilanza privata e dei servizi fiduciari, non vedrebbero risolti i propri problemi salariali visto che il contratto nazionale firmato dai principali sindacati prevede minimi da 4,60 euro lordi l’ora. Non servono pannicelli caldi per conquistarsi qualche titolo di giornale, ma risposte concrete”.

La maggioranza vi anche accusato di esservi svegliati adesso con la proposta contro il lavoro povero.
“Il M5S ha presentato la sua prima proposta di legge nel 2013, per poi riproporla nel 2018. Ciò che è accaduto nella scorsa legislatura non è un mistero: nel momento clou, prima la Lega e poi il Pd si sono tirati indietro. Ricordo che, al Senato, i dem hanno presentato un emendamento per cancellare dal testo del ddl Catalfo il riferimento alla soglia minima legale di 9 euro. Ora, con il cambio di leadership, sono tornati sui loro passi sposando, di fatto, la nostra proposta. È un segnale positivo: certamente, se fosse arrivato prima sarebbe stato meglio…”.

Se il Parlamento dovesse bocciare la vostra proposta cosa farete?
“Già da ora coinvolgeremo i cittadini: partirà una raccolta firme che promuoverà una petizione. Alla ripresa dei lavori parlamentari ci sarà sul tavolo anche la loro posizione. Il nostro obiettivo è risolvere questo problema concretamente, non sventolare una bandierina ideologica”.

Reddito di cittadinanza. La ministra del Lavoro, Marina Calderone, sostiene che solo 200 mila persone lo perderanno. Meloni dice 112 mila.
“Qui le cose sono due: o mentono sapendo di mentire, oppure non leggono i loro stessi provvedimenti e le relazioni tecniche. In quella che accompagna il decreto Lavoro c’è scritto nero su bianco che i nuclei famigliari percettori di Rdc che transiteranno nel Supporto per la formazione e il lavoro, un’elemosina da 350 euro al mese circoscritta al periodo di frequenza ai fantomatici corsi di formazione, saranno 436mila per un totale di 615mila persone. Già dal 1° agosto, 169mila famiglie sono state lasciate prive di qualsiasi sostentamento: con che coraggio parlano?”.

È vero come qualcuno vi accusa di aizzare le proteste?
“Solo un governo in estrema difficoltà poteva inventare una panzana simile. La confusione l’hanno creata loro quando a dicembre 2022, con la legge di Bilancio, hanno iniziato a smantellare il Reddito di cittadinanza, completando l’opera con il decreto Lavoro. Nei 7 mesi a venire non hanno fatto nulla, salvo l’sms dell’Inps, finanche sbagliato, inviato a 169mila nuclei famigliari il 28 luglio scorso. Circostanza per cui ci aspettiamo le dimissioni della commissaria Gelera. E ancora: avevano promesso corsi di formazione per tutti, ma chi li ha visti? Non c’è la piattaforma che dovrebbe incrociare domanda e offerta di lavoro, né – tantomeno – è stato completato il Piano di potenziamento dei Centri per l’Impiego che le Regioni avrebbero dovuto mettere a terra entro fine 2021. Alla fine dello scorso anno, erano stati assunti solo il 37% degli 11.600 nuovi operatori previsti in tutta Italia, percentuale che scende al 28% Regioni guidate dal Centrodestra. Un caso? Io non credo…”.

Un report del consiglio nazionale giovani e di Eures dice che per gli under 35 di oggi la prospettiva è andare in pensione a quasi 74 anni con poco più di mille euro.
“Per questo abbiamo duramente criticato la scelta di Meloni & Co. di deregolamentare l’uso dei contratti a termine e dei voucher, e proposto di istituire una pensione di garanzia per i giovani con carriere precarie e discontinue. Ma questo governo non ci vuole sentire”.