Il marcio nascosto dietro la beneficenza

di Mimmo Mastrangelo

Nel lontano 1985, sulla rivista dei missionari comboniani, Nigrizia, di cui era direttore, Padre Alex Zonotelli scrisse un allarmante pezzo in cui metteva allo scoperto il discutibile (se non truffaldino) sistema della solidarietà e delle tante raccolte di denaro destinate ai poveri. Se oggi si interpella padre Zanotelli sullo stesso tema si scoprirà che la sua opinione non è cambiata, piuttosto vi dirà che il fenomeno della beneficenza è andato ancora più degenerando. Nel nostro Paese la politica della cooperazione è andata azzerandosi per il fallimento della politica, ma – come dimostra nel suo ultimo libro “L’industria della carità”, uscito per Chiarelettere, la giornalista Valentina Furlanetto – la beneficenza prospera eccome, si perdono i numeri delle tante raccolte di fondi per popolazioni terremotate, adozioni a distanza, vendite di azalee e arance della beneficenza, gare di solidarietà in tv che vengono promosse. E fa specie scoprire l’esistenza di organizzazioni non governative e società onlus che, non avendo sempre l’obbligo di pubblicare i bilanci, finalizzano la propria azione principalmente per accumulare profitti secondo una logica del tutto mercantile (ed occidentale) piuttosto di operare per sostenere chi ne ha bisogno. E accade pure che fra i tanti soggetti della carità si generi un conflitto per cui le associazioni più grandi spendono milioni di euro a fini promozionali, mentre le più piccole vengono schiacciate da una concorrenza sleale.
Per capire questo fenomeno drogato si può fare qualche esempio in concreto. Una gara di solidarietà per i terremotati d’Abruzzo, avviata da 56 artisti illustri, tra cui Jovanotti, Giuliano Sangiorgi, Gianni Nannini, Gianni Morandi fece incassare dalla vendita di un disco un milione di euro, di quel denaro non un solo euro è stato consegnato (e questo non per colpe degli artisti succitati) alle popolazioni abruzzesi, come è sostenuto all’interno del libro.
Altro tipo di solidarietà truffa sono le tante raccolte di vestiti usati: come viene raccontato anche nel bel documentario di Raffaele Brunetti “Mitumba” (vincitore del Globo d’oro qualche anno fa), i panni che tanti di noi non mettono più e li raccogliamo in buste di plastica non vengono dati direttamente ai chi ne ha bisogno, ma mercanteggiati nei paesi africani dove il novanta percento della popolazione veste di seconda mano. Per non dire poi di certe operazioni sporche portate a compimento truccando i bilanci, come quella effettuata all’Asilo Mariuccia di Milano, vera istituzione nel campo della carità del capoluogo lombardo. La magistratura ha messo sotto accusa gli amministratori per un finanziamento (seicento milioni di euro) avuto dalla Regione Lombardia quando l’istituto poteva già contare su un patrimonio di 11 milioni di euro, risorse pari a 2 milioni ed investimenti in titoli per cifre altrettanto importanti. Insomma, una ignominia sostiene nel suo libro Valentina Furlanetto da cui non sono immuni alcuni dirigenti delle associazioni che negli anni si sono fatti una certa credibilità nel campo dove operano. Come Greenpeace, Croce Rossa e Amnesty International. Ma la vergogna della vergogna di questo universo contorno del terzo settore sono le remunerazioni degli amministratori e dei dirigenti, infatti i loro stipendi spesso possono arrivare a cifre uguali a quelle dei manager di multinazionali.
Che fare allora per redimere una realtà che nasconde il suo vero volto? Ridando la parola a Padre Zanotelli non ci sono strade da scegliere se non una: “Basta con la carità – sentenzia il padre comboniano – c’è bisogno di giustizia sociale. La liberazione viene sempre dal basso, dai poveri, mai da ricchi”.