Il Mose tira in ballo Tremonti

di Stefano Sansonetti

Un regolamento dei conti con tutti i crismi. All’interno del quale pezzi del ministero dell’economia e dell’Agenzia delle entrate sfruttano ogni mezzo pur di averla vinta su altri pezzi delle stesse strutture. Così succede per lo scandalo Mose, la maxiopera per la realizzazione di dighe mobili a Venezia intorno alla quale è letteralmente divampata l’ennesima tangentopoli italiana. Il fatto è che l’inchiesta condotta dalla procura del capoluogo veneto sembra aver già mietuto una vittima che con le indagini non c’entra proprio nulla. Parliamo di Marco Di Capua, attuale numero due del Fisco italiano, che ormai è destinato a dire addio all’obiettivo di succedere ad Attilio Befera al vertice dell’Agenzia delle entrate. Qual è il legame di Di Capua con l’affaire Mose? Nessuno, e proprio questo è il punto. Per ricostruire un nesso bisogna passare per Giulio Tremonti, ex ministro dell’economia. Il cui nome, pur senza finire sul registro degli indagati, è stato evocato all’interno dell’inchiesta. A citarlo è stata Claudia Minutillo, la ex segretaria dell’allora governatore del Veneto Giancarlo Galan, secondo la quale per sbloccare 400 milioni di euro destinati al Mose sarebbe stata pagata una tangente da 500 mila euro.

Il perimetro
A incassare il denaro sarebbe stato Marco Milanese, trascorsi in Guardia di finanza, ex braccio destro di Tremonti. Ma secondo il racconto della Minutillo il beneficiario ultimo del versamento sarebbe dovuto essere l’ex titolare del dicastero di via XX Settembre. Tralasciando il modo in cui certi esponenti politici vengono tirati in ballo pur non essendo indagati, qui il dato interessante è la ripercussione che tutta questa vicenda veneta può avere sulle faide interne al ministero dell’economia e all’Agenzia delle entrate. Da giorni diversi quotidiani stanno descrivendo Di Capua, che è pure lui un ex finanziere, come uomo molto vicino a Tremonti, Milanese e a Emilio Spaziante, generale della Guardia di finanza che secondo l’accusa avrebbe percepito altri 500 mila euro per informare i componenti del Consorzio Venezia Nuova, quello che sta costruendo il Mose, delle verifiche e delle inchieste in corso. Difficile non vedere in tutto questo lavorìo una sorta di avvertimento al governo, ma soprattutto al ministero dell’economia che più era schierato a favore di Di Capua come prossimo direttore delle Entrate. Come dire: guardate che hanno combinato gli uomini di Tremonti a Venezia, sarebbe un errore favorire l’ascesa al vertice del Fisco di un uomo vicino all’ex ministro. Per carità, è innegabile che Di Capua all’Agenzia sia diventato capo dell’accertamento proprio quando Tremonti era sulla tolda di comando di via XX Settembre. Ma questo legame viene tirato fuori ora in modo del tutto strumentale, con la complicità dell’inchiesta sul Mose, per sbarrare definitivamente la sua corsa verso la poltrona di numero uno del Fisco.

La lotta
Che poi già nei giorni scorsi la posizione del funzionario era apparsa traballante. La Notizia nelle scorse settimane ha dato ampiamente conto di come ci fosse una spaccatura tra palazzo Chigi, dove l’entourage del premier Matteo Renzi vuole un nome che marchi una maggiore discontinuità rispetto all’era Befera (a cui Di Capua è molto vicino), e il ministero dell’economia, dove la struttura ha sempre spinto il ministro Pier Carlo Padoan verso la nomina dell’attuale vicedirettore. Così ecco adesso riprendere vigore le quotazioni di Rossella Orlandi, empolese, oggi direttore regionale delle Entrate in Piemonte ma già funzionario di spicco a Firenze. Dietro alla Orlandi (come dettagliatamente spiegato da La Notizia sin dal 29 aprile scorso), ci sono i Visco boys, ovvero tutta quella guardia fiscale legata all’ex ministro Ds delle Finanze e al direttore delle Entrate dell’epoca, Massimo Romano. I quali non hanno mai perdonato a Befera la sua conversione tremontiana. Per questo hanno meditato “vendetta” per tanto tempo. E l’inchiesta Mose, seppure in modo stiracchiato, ora consente loro di consumarla.
@SSansonetti