Il Parlamento fa finta di riaprire in attesa del 9 settembre

di Lapo Mazzei

Domani riparte ufficialmente l’attività parlamentare. Ma solo al Senato, visto che le porte della Camera riaprono venerdì. All’ordine del giorno dell’Aula presieduta da Pietro Grasso ci sono soltanto dibattiti su temi vari (“mozioni sui rischi da dissesto idrogeologico”, “mozioni contro la diffusione del gioco d’azzardo”, “mozioni sulla combustione di rifiuti nei cementifici”). Temi che richiameranno al lavoro gli stakanovisti, quelli duri e puri convinti che un mese e rotto di vacanza possa anche bastare. Insomma, quella di mercoledì in Aula – ma non nelle commissioni dove parte la procedura “depenna Silvio dal Senato” – sarà una pura formalità, tanto che i parlamentari hanno puntato il proprio orologio sulla data del 9, quando la giunta di Palazzo Madama avvierà il dibattito sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Sino ad allora dovremo fare i conti con le schermaglie procedurali, con il dibattito politico fra falchi e colombe del Pdl, con la rissa continua fra le anime inquiete del Pd, con i grillini indisponibili a tutto e con il tentativo della destra di rimettere la testa fuori dal guscio all’interno del quale l’ha cacciata il risultato delle urne. Insomma, con il solito repertorio estivo, figlio del chiacchiericcio, più che del vero confronto.
Se non fosse per le Feste de L’Unità e gli avvocati del Cavaliere, sai che noia. Se delle prime il copione è noto, un po’ meno lo è quello scritto dai legali di Silvio e mandato in scena da Coppi, sempre più determinato a non restare nell’angolo a guardare.
Chi lo ha sentito nelle ultime ore descrive Berlusconi “lacerato per ciò che dovrà scegliere e allo stesso tempo indeciso sul da farsi, consapevole però di avere pochi giorni a disposizione”. E una delle ipotesi è anche quella di difendersi direttamente davanti alla Giunta del Senato. Il suo umore oscilla come un pendolo. Da un lato, si fa notare, c’è «la voglia di rompere tutto», di aprire la crisi di governo se il Pd voterà la sua decadenza, dall’altro il suo contrario, la tentazione di «accettare le condizioni della resa, cioè la sentenza, chiedere la grazia e uscire di scena». Spiega lo stesso Coppi: «Non è stata presentata alcuna domanda di grazia al Capo dello Stato, ma resta una delle ipotesi in campo. Con il presidente non ne abbiamo parlato in questi giorni, ma non è escluso che decida in tal senso».