Impeachment, cresce il fronte contro il Colle

di Fausto Cirillo

A gennaio lo aspetta una richiesta di impeachment». Fanno discutere i particolarissimi “auguri” di Beppe Grillo a Giorgio Napolitano. Il leader del M5S ha colto la pausa natalizia per ribadire il suo duro attacco a Re Giorgio, colpevole di essere appunto un monarca che «nomina i suoi primi ministri» e non rispetta la Costituzione. Più che per i suoi toni, il nuovo affondo sorprende per la tempistica, arrivando poco dopo il duro richiamo dello stesso Napolitano all’esecutivo per il caos sul decreto “salva Roma”. Invece si spostarsi sul governo, il mirino pentastellato è infatti rimasto ben puntato sul Colle. Il suo inquilino viene tirato nuovamente in ballo per le intercettazioni dei suoi colloqui con l’ex ministro Nicola Mancino, registrate nell’ambito dell’inchiesta di Palermo sui rapporti Stato-mafia: «La parola del presidente era sacra, inviolabile, non poteva essere udita dai magistrati. Quando ciò accadeva e una sua conversazione con un indagato veniva registrata, il presidente faceva cancellare i nastri». Napolitano viene poi nuovamente criticato per aver firmato il lodo Alfano, bocciato dalla Corte Costituzionale: «Non si è opposto energicamente ad alcune leggi vergogna come il lodo Alfano, che persino un bimbo avrebbe bocciato come incostituzionale». Insomma, per il leader pentastellato Re Giorgio «si è preso libertà che sconfinavano dal suo ruolo. Ma – aggiunge con ironia – per il bene supremo del Paese». Il suo lungo post termina con una profezia minacciosa: «Ogni anno a Capodanno, da tempo immemore, il presidente fa un discorso al popolo. Questa tradizione si ripete forse l’ultima volta. A gennaio lo aspetta una richiesta di impeachment per la sua decadenza. Un atto spiacevole verso chi ha dedicato la sua intera esistenza alla patria. Chissà se ringrazierà. Merry Christmas, mister President».

Inediti silenzi
Dal Colle non è filtrata finora alcuna nessuna reazione. Ma a ben vedere c’è un silenzio in queste ore che dovrebbe far più notizia: quella degli esponenti delle altre opposizioni, che non hanno ritenuto di dover intervenire in difesa del capo dello Stato. Un fatto inedito nella nostra storia repubblicana, quando nonostante tutto la figura del presidente della Repubblica veniva apprezzata da tutti i contendenti dell’agone parlamentare. Gli unici politici che, digerito il panettone natalizio, hanno espresso la loro vicinanza a Re Giorgio sono infatti espressione della maggioranza che sostiene il governo quasi-monocolore del premier Enrico Letta. In una nota Pier Ferdinando Casini si è affrettato a definire gli attacchi di Grillo a Napolitano «il segno di un’impotenza politica e il tentativo di mitigare la delusione dei suoi stessi elettori. Tutte le persone ragionevoli sanno perfettamente che il Presidente Napolitano svolge un ruolo autorevole, di guida e di equilibrio in un Paese travagliato da mille difficoltà. Di questo la maggioranza silenziosa degli italiani gli è senz’altro grata». E il segretario nazionale dell’Udc Lorenzo Cesa lo ha seguito a ruota sottolineando un paradosso tutto italiano: «Quando Grillo faceva il comico ha pagato a caro prezzo le sue battute sopra le righe. Oggi fa il politico, anzi: il leader di partito. E pare che gli sia concesso di dire qualsiasi cosa, compreso frasi che aizzano alla violenza o che suonano come vilipendio alle più alte cariche dello Stato». E mentre l’ex montiano Lorenzo Dellai, capogruppo alla Camera di “Per l’Italia” parlava di «attacco sguaiato», il presidente dei deputati del Pd Roberto Speranza spiegava «c’è un solo, chiaro obiettivo nella strategia politica Grillo: sfasciare le istituzioni e fare dell’Italia un cumulo di macerie. I continui attacchi al presidente della Repubblica, che è stato in questi anni l’unico faro nella tempesta morale e politica del paese, confermano tale strategia malata. Il Pd si opporrà con tutte le proprie energie, in Parlamento e nel paese, per contrastare questo disegno sinistro». Ha usato grosso modo gli stessi concetti il suo collega del Nuovo centrodestra Enrico Costa: «Ricordo a me stesso, prima di tutto che Giorgio Napolitano non aveva nessuna intenzione di accettare secondo mandato presidenziale. Dopo le pressanti richieste dei maggiori partiti, si dichiarò disponibile ed evitò che il paese precipitasse nel caos istituzionale. Grillo non glielo perdona, perché il caos avrebbe fatto la fortuna del suo movimento» ha dichiarato, rivendicando la coerenza di pensiero della sua formazione politica: «Gli altri che ora lo attaccano, solo pochi mesi orsono tessevano le lodi del Presidente e ne applaudivano l’intervento molto duro di fronte alle Camere. Hanno cambiato opinione e linea politica e si sono posti, sperando di lucrare qualche consenso, su posizioni sempre più estremiste. Noi non abbiamo cambiato opinione: abbiamo votato Napolitano e oggi ne apprezziamo la coerenza e la serietà».

Consigli all’ex leader
Sottoscrivendo le parole del suo compagno di partito, l’alfaniano e ultra governativo Fabrizio Cicchitto ha esteso poi la sua analisi a quanti – da Bersani ieri a Renzi e Berlusconi oggi – «hanno pensato e pensano scioccamente di usare» Beppe Grillo, espressione di «una lucida volontà eversiva». Da qui un appello al partito di cui fino a poche settimane or sono ha fatto parte: «Malgrado la divisione intervenuta per motivi assai seri e giustificati, vista la deriva estremista che nel corso di questo periodo ha sempre più ispirato Forza Italia, se potessimo dare ancora un suggerimento amichevole a Silvio Berlusconi, gli sconsiglieremmo vivamente di convergere in un fronte anti-Napolitano. Le dissennatezze sugli impeachment le lasci ai ben noti estremisti che purtroppo lo circondano». Sarà pure, ma il silenzio di tutte le opposizioni dopo l’attacco dell’ex comico sembra piuttosto raccontare un’altra storia: quella di un inquilino del Quirinale che – dopo decine di interventi e decisioni al di fuori dei binari costituzionali – appare sempre di più come il garante non dell’unità nazionale ma di un governo delle piccole intese, sostenuto ormai solo dal Partito democratico e da trascurabili alleati terrorizzati all’idea di doversi presentare anzitempo di fronte al corpo elettorale.