Imprese femminili, il gap di genere resta altissimo. Il punto nell’ultima newsletter dell’Associazione Progetto Donne e Futuro

In Italia le imprese femminili restano lontane da quelle di proprietà degli uomini. Secondo le Camere di commercio siamo a quota un milione e 340mila, pari ad appena il 22% del totale. Decisamente poche, fa notare l’ultima newsletter dell’Associazione Progetto Donne e Futuro Onlus, guidata dalla parlamentare Cristina Rossello (FI, nella foto). E forse è meglio dire pochissime se si considera il gran numero di agevolazioni ed incentivi disponibili. Senza contare che molte di queste imprese sono partite Iva di donne solo parzialmente autonome nel rapporto di lavoro.

GLI UOMINI SALDI AL COMANDO. Premesso che seguendo lo schema di Unioncamere si definisce femminile una società di capitali la cui partecipazione di genere risulta superiore al 50% mediando le composizioni di quote di partecipazione e cariche attribuite, mentre nelle società di persone e cooperative si considera il 50% di donne tra i soci, l’Osservatorio sulle partite Iva del Ministero dell’Economia registra che il 27% del totale di tutte le partite IVA registrate e attive è attribuito a persone fisiche di sesso femminile a fronte del 45% della stessa tipologia riferita ai titolari uomini. E va pure peggio nelle micro-imprese (94,5% quelle maschili) e nelle ditte individuali (il 48,7% quelle maschili).

Una ricerca Istat del 2017 ha poi rilevato che all’interno dell’aggregato composto dalle partite IVA individuali la componente più autonoma (datori di lavoro + autonomi puri) è composta al 75% da uomini e solo dal 25% da donne mentre le donne compongono il 50% del totale dei lavoratori indipendenti solo parzialmente autonomi. Inoltre, come evidenziato da una ricerca svolta da ACTA (Associazione rappresentativa dei freelance) esiste un gender pay gap anche per le partite Iva: il 34,8% delle donne guadagna meno di diecimila euro a fronte del 15,6% degli uomini.

A tutto questo va aggiunto che in Italia nel 2018 solo il 12% delle start-up era prevalentemente femminile (9% in Francia, 11% in Germania, 30% nel Regno Unito). Le donne quindi restano sottorappresentate nel mondo imprenditoriale, operano tipicamente in realtà più piccole e meno dinamiche di quelle in cui troviamo gli uomini, hanno ambizioni di crescita minori e incontrano più ostacoli.