In dieci anni impennata di contratti a termine

I dati Eurostat sui contratti a termine: in Italia negli ultimi dieci anni sono cresciuti più che in tutti gli altri Paesi Ue.

In dieci anni impennata di contratti a termine

I contratti a termine spopolano soprattutto tra le persone giovani, tra chi ha un livello di istruzione più basso e riguardano più spesso le donne rispetto agli uomini. È quanto emerge da un report di Openpolis, che basandosi sui dati Eurostat, ricostruisce la situazione europea. Nel 2022 in Europa circa 24 milioni di lavoratori, ovvero il 12% degli occupati, ha un contratto a termine. I Paesi Bassi riportano un valore di molto superiore alla media Ue. Seguono Spagna (18,1%), Portogallo (14,3%), Francia e Finlandia (entrambe con il 14%).

Contratti a termine, in Italia la maggior crescita in Ue

L’Italia, con il 13,5%, è al sesto posto in Ue, ma è il Paese in cui l’incidenza è più aumentata nel corso dell’ultimo decennio: +3,4 punti percentuali tra 2013 e 2022. Mentre le cifre più basse si registrano nei paesi dell’area baltica e in alcuni Stati dell’Europa orientale (in particolare Romania e Bulgaria), aggirandosi tra l’1,6% e il 3,5%.

In Italia, secondo quanto rilevato da Istat, si tratta di una condizione che ha un’incidenza più elevata nel Sud del Paese. Considerati soltanto i lavoratori dipendenti, sempre nel 2022 il 16,8% aveva un contratto a tempo determinato. Mentre però al Nord il valore è pari al 14% circa e nel Centro è in linea con la media nazionale (16,3%), nella macro-regione del Mezzogiorno il dato sale al 23%.

Sono più spesso le donne e i giovani ad avere contratti a tempo determinato in Europa. Molto spesso infatti le donne, rileva Openpolis, si ritrovano costrette a lavorare meno anche perché secondo una concezione tradizionalistica dei ruoli familiari sarebbero maggiormente responsabili dei lavori domestici e di cura dei figli.

Il gender gap

Nel 2022 la differenza di genere, in termini di incidenza del lavoro a tempo determinato, è stata di 2,4 punti. In altri anni il divario è stato più ampio (2,8 punti nel 2009 e 2,5 nel 2010), ma quello del 2022 è comunque il valore più elevato degli ultimi 12 anni. Si tratta di una situazione che varia considerevolmente da stato a stato. A registrare la differenza maggiore è Cipro con circa 7 punti percentuali, seguito da Spagna, Croazia e Finlandia con più di 5 punti.

In Italia lo scarto è di 3,5 punti, comunque più della media Ue (2,4). Mentre in 3 paesi, tutti situati in Europa orientale (Romania, Bulgaria e Lettonia) l’incidenza risulta al contrario maggiore tra gli uomini. Un fenomeno analogo si verifica tra le diverse fasce di età. L’Italia è lo stato Ue con la quota più elevata di giovani non inseriti in un percorso di formazione che hanno un contratto a tempo determinato: 43,6%, contro una media europea del 25,1% che ha comunque un valore doppio rispetto alla media di tutte le età.

Alla luce di questi dati appare incomprensibile come il governo Meloni abbia deciso di precarizzare ulteriormente il mercato del lavoro, abolendo i paletti del decreto Dignità al proliferare dei contrattini. Sui contratti a termine l’esecutivo ha deciso che anche i rinnovi e non solo le proroghe saranno senza causali fino a 12 mesi. Prima invece la causale andava indicata già al primo rinnovo, a prescindere dalla durata. A ciò si aggiunga la decisione di reintrodurre i voucher per pagare i lavoratori. O meglio il via libera alla reintroduzione – dopo che erano stati aboliti nel 2017 – è arrivato con la prima legge di Bilancio del governo Meloni. Il decreto Lavoro però ha ampliato la soglia di utilizzo per le aziende.