In Italia, le madri si trovano sempre più spesso a fronteggiare una solitudine strutturale e un sistema che continua a penalizzarle, soprattutto nel mondo del lavoro. È quanto emerge dal nuovo rapporto “Le Equilibriste – La maternità in Italia” pubblicato da Save the Children, che lancia un allarme chiaro a pochi giorni dalla Festa della Mamma: il nostro Paese non è un luogo amico per chi sceglie di diventare madre.
Nel 2024 l’Italia ha toccato un nuovo minimo storico sul fronte delle nascite: appena 370.000 nuovi nati, con una flessione del 2,6% rispetto al 2023. L’età media delle madri al momento del parto è salita a 32,6 anni e il tasso di fecondità è crollato a 1,18 figli per donna, scendendo al di sotto del già preoccupante 1,19 registrato nel 1995. I dati più critici si registrano nel Sud e nelle Isole, dove il calo delle nascite raggiunge rispettivamente il 4,2% e il 4,9%.
Il report, giunto alla sua decima edizione, mette in luce i profondi squilibri sociali e di genere che ancora oggi caratterizzano il percorso di vita delle donne in Italia. In particolare, le madri single sono le più esposte alla precarietà economica e alla carenza di servizi di supporto. L’Indice delle Madri, elaborato da ISTAT per Save the Children, fotografa le condizioni territoriali più favorevoli alla maternità: in testa alla classifica si conferma la Provincia Autonoma di Bolzano, seguita da Emilia-Romagna e Toscana; in fondo, invece, si trovano Basilicata, Campania, Puglia e Calabria.
Le disuguaglianze emergono con forza nel mondo del lavoro. L’Italia è al 96° posto su 146 Paesi per la partecipazione femminile al lavoro e al 95° per il gender gap retributivo. Una donna su quattro è a rischio di lavoro povero, contro un uomo su sei. E la situazione peggiora drasticamente per le donne che diventano madri: solo il 62,3% delle madri lavora, contro il 91,5% dei padri. Una su cinque lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio, percentuale che sale al 35% tra le madri di bambini con disabilità.
“In Italia le madri sono sempre più sole e penalizzate sul lavoro”. Save the Children lancia l’allarme
La cosiddetta “child penalty” – la penalità salariale e occupazionale legata alla genitorialità – colpisce in maniera asimmetrica: mentre gli uomini con figli sono più presenti nel mercato del lavoro rispetto a quelli senza figli, per le donne vale il contrario. Le dimissioni volontarie post-parto confermano questa tendenza: nel 2023, il 72,8% delle oltre 61.000 convalide di dimissioni tra genitori di bambini tra 0 e 3 anni ha riguardato donne, nella quasi totalità dei casi per difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia.
Secondo le stime contenute nel report di Save the Children, una maggiore disponibilità di servizi per l’infanzia potrebbe ridurre sensibilmente questa penalità. Un taglio del 30% ai costi sostenuti dalle famiglie per asili nido farebbe scendere la child penalty dal 33% al 28,5%, mentre con una riduzione del 90% si arriverebbe a un valore compreso tra il 19,5% e il 16,8%. Attualmente, la percentuale di donne occupate a tempo pieno nella fascia 25-54 anni è del 77,8% tra chi non ha figli, ma precipita al 64,4% tra le madri. Al contrario, il part-time aumenta dal 22,2% al 35,6%.
“Ancora oggi – ha dichiarato Giorgia D’Errico, Direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children – le diseguaglianze di genere, l’assenza di servizi e lo sbilanciamento dei carichi di cura continuano a ostacolare le madri. Servono politiche strutturali, integrate e durature per sostenere la genitorialità e garantire conciliazione tra vita privata e professionale”.
Tra le proposte dell’organizzazione: estensione dei congedi di paternità, accesso garantito ai servizi educativi per l’infanzia in tutto il territorio nazionale, e un riconoscimento pieno del valore sociale della cura, anche da parte dei padri.