Inchiesta sui fondi della Lega. Soldi anche a Morisi e Foa junior. Fondi sospetti usati per pagare lo staff di Salvini. Si stringe il cerchio dei magistrati attorno al Capitano

C’è da chiedersi per quanto tempo sarà ancora possibile bollare l’inchiesta sui fondi della Lega come una bazzecola. Già perché partita dall’immobile di Cormano, acquistato a prezzo gonfiato dalla Lombardia film commission, l’indagine continua ad ingrossarsi tanto che ora spunta una nuova segnalazione di operazioni sospette, redatta dall’Uif di Bankitalia nel 2019, in cui si legge che: “Operatività non coerente è stata rilevata tra diverse società, coinvolte nei più disparati settori economici e spesso con lo stesso indirizzo, e il partito politico Lega Nord” molte delle quali “riconducibili a (…) dottori commercialisti” di Bergamo e Milano.

E poi, prosegue l’atto: “Operazioni di accredito, spesso connotate da importo tondo e da periodicità non in linea con gli usi di mercato, (…) seguite da operazioni in segno contrario in favore di professionisti e società sempre riconducibili al (…) partito politico”. Nel rapporto si sottolinea anche che “a fronte di fondi ordinati” dal partito e “dal gruppo Lega Salvini premier” a favore di entità collegate “sono stati disposti pagamenti a favore di Luca Sostegni”, ossia il presunto prestanome del commercialista Michele Scillieri.

Inoltre spunta anche un’ulteriore segnalazione relativa alla società Valdolive “impegnata nel settore pubblicitario, precedentemente di proprietà” di Vanessa Servalli cognata di Alberto Di Rubba, che “ha ricevuto bonifici dalla Lega Nord, dalla Partecipazioni Srl e dallo Studio Dea Consulting Srl”, nomi ricorrenti nell’indagine milanese. “Tali fondi” si legge nell’atto “sono stati utilizzati per effettuare pagamenti in favore di alcuni membri dello staff” dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, tra cui “Luca Morisi (nella foto con Salvini, ndr), Leonardo Foa e Matteo Pandini”.

“Se parlo io è un bel casino” diceva proprio Scillieri in una delle tante intercettazioni finite nel fascicolo sulla compravendita gonfiata di Cormano. Dopo l’interrogatorio di ieri, tenuto lontano dalle stanze della procura di Milano e dagli sguardi indiscreti dei cronisti, c’è da chiedersi se il commercialista ha tenuto fede a quella frase – che assomiglia tanto a una minaccia perché pronunciata al culmine di tensioni con i colleghi indagati – o se ha cambiato idea e si è barricato in una strenua difesa. Al momento le certezze su cosa sia accaduto nel confronto con i pm sono poche.

Quel che è fuori discussione è che l’audizione c’è stata davvero e che è iniziata la mattina per proseguire, quasi senza sosta, fino a tarda sera. Un interrogatorio fiume, sul cui contenuto c’è massimo riserbo, di cui si sa solo che Scillieri avrebbe risposto a tutte le domande dei pm e il cui verbale non è stato secretato. Stando a quanto trapela, le prime domande si sono concentrate sull’affare del capannone di Cormano che il commercialista stesso, in un’intercettazione, definiva “una porcheria” per la quale “hanno dovuto inventare che costava il doppio”.

Ma è Sostegni, il presunto prestanome di Scillieri che il 15 luglio scorso è stato arrestato poco prima di prendere il volo verso il Brasile, che collaborando con i pm, coordinati dal procuratore Francesco Greco, ha ricostruito il ruolo del commercialista rivelando che “si vantava delle amicizie che aveva con Di Rubba e con altri esponenti della Lega, tanto da aver ricevuto un incarico per cercare di vendere la sede della Lega di via Bellerio”. Una cessione sfumata di cui è scontato che i magistrati abbiano chiesto conto a Scillieri nell’interrogatorio di ieri.