Inizia l’assalto alle metropoli. Primarie Pd a Roma e Torino. Prove d’intesa coi 5S a Napoli. I tavoli col Movimento per le candidature comuni potrebbero lanciare Fico nel capoluogo campano

Si avvicinano gli impegni elettorali comunali del prossimo anno e il centro-sinistra dice la sua sulle primarie: a Roma e Torino si faranno sicuramente altrove non sembrano essercene le condizioni. Un progetto che potremmo definire a “geometria variabile” che sacrifica una linea unica al pragmatismo delle singole situazioni locali per ottenere il massimo risultato. Incominciamo da Torino dove la novità è che Chiara Appendino, sindaco uscente M5S, non si ricandiderà, per motivi di opportunità dopo la condanna in primo grado a sei mesi per il caso Ream. Gli organi del Pd locale hanno indetto le primarie per febbraio 2021 in una prima bozza di regolamento che sarà proposta oggi.

Per ora dal nazionale non giungono indicazioni per un possibile percorso comune con i Cinque Stelle e il Pd potrebbe essere tentato di fare da solo. Anche a Roma il centro – sinistra celebrerà le primarie includendo il figliol prodigo Carlo Calenda in azione più che altro di “sfacilitatore” dato i burrascosi rapporti che lo hanno legato al Pd da cui si è staccato. La partita di Roma riguarda ovviamente la candidatura dell’attuale sindaca Virginia Raggi invisa però a Zingaretti che l’ha definita come “il principale problema di Roma” e il Pd capitolino che l’ha attaccata sulla mancata riapertura della Ztl che farebbe contenti i commercianti e sarebbe anche una saggia misura per evitare gli assembramenti sui mezzi pubblici.

Ma se Torino e Roma hanno deciso restano in ballo tutte le altre città. A Napoli sembra che non si facciano, ma molto dipenderà anche se il presidente della Camera, Roberto Fico, scenderà in campo con i Cinque Stelle. A Milano tutto dipenderà dall’attuale sindaco Giuseppe Sala se deciderà di ricandidarsi a novembre. Se lo farà il nome è il suo altrimenti occorrerà scegliere una rosa di nomi e capire cosa faranno i grillini. A Bologna si è intenzionati a non farle perché non si vogliono sorprese da un elettorato di centro – sinistra che ha una alta età media e potrebbe dare segni di cambiamento rispetto a quello che ci si aspetta dal nazionale a Roma. Come si vede la situazione restituisce un quadro a macchia di leopardo in cui le dinamiche sono legate a quelle degli alleati (nazionali) dei Cinque Stelle e a fattori interni, come Calenda a Roma, Sala a Milano e Fico a Napoli.

Ma la domanda a questo punto è: Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti hanno sempre parlato di un piano strategico delle alleanze da perseguire in maniera sistematica, eppure questo lodevole intendimento si è subito scontrato contro la realtà pratica delle prossime elezioni in queste grandi città. Troppi i distinguo e troppe le particolarità se l’idea è appunto un progetto di programma. Occorre superare i localismi per fare un piano generale del centro – sinistra collocando una rosa di candidati con l’ambizione di vincere e non di non farsi fregare dagli alleati. Solo così, inoltre, si potrà dare stabilità al governo nazionale in un periodo che si prevede molto difficile per la congiuntura sanitaria e i relativi pesanti impatti sull’economia e soprattutto sull’occupazione. Se invece prevarranno – come pare – logiche troppo limitate alla geografia il progetto congiunturale fallirà a vantaggio del centro – destra molto più compatto e unito. Perché non fare primarie ovunque? Questa è la domanda che l’elettore medio si pone. L’elettorato non capirebbe giochetti locali a scapito dell’interesse generale.