Insulti e gogna mediatica. Così la macchina del fango fa propaganda per la Lega. Commenti estrapolati dal contesto, video e notizie manipolate. La Bestia di Salvini non fa prigionieri

La pubblica gogna che secoli fa era in piazza ora ha trovato un nuovo spazio: la piazza virtuale, se possibile ancora più feroce e spietata di quella reale. Vecchi metodi, nuovi strumenti per umiliare ed esporre a pubblico ludibrio avversari politici, chi la pensa diversamente o semplicemente chi non va a genio. Lo sanno bene i leghisti che sui social fanno largo uso e abuso. Commenti estrapolati dal contesto, video estratti ad arte, frasi più o meno manipolate, accompagnate da didascalie spesso irrisorie, se non di vera a propria persecuzione: Vergogna! Condividete! Indignatevi! Basta un click per distruggere la vita di una persona, la sua reputazione, il suo equilibrio psicologico. È così facile e (apparentemente) non costa nulla. Perché non farlo? Soprattutto se si è schermati, nascosti dietro ad un pc o ad uno smartphone.

Tutto è concesso, che si scateni il lato più bestiale, l’insulto più pesante, la minaccia più grave, anche di morte, perché no. Come nel medioevo chi si trovava al cospetto di un condannato era autorizzato a infierire su di esso, ad insultarlo e colpirlo con sputi e percosse, la nuova gogna mediatica non conosce pudore e senso del limite. Il popolo dei social è moralmente superiore, sa tutto e tutto può giudicare: il Capitano o chi per lui – tanti piccoli peones che si fanno grossi nel suo nome – mostra il pollice verso come gli imperatori romani nell’arena la morte dei gladiatori e la folla urla “a morte, a morte”, in attesa che il gladio sferri il colpo mortale o che i leoni sbranino i cristiani. Oggi non ci sono più le fiere nel Colosseo ma ci sono i “leoni da tastiera” sapientemente aizzati dalla propaganda politica per un like in più. L’imperatore/Capitano comanda e loro eseguono: giù con l’insulto, la pernacchia e la minaccia. Lo shitstorm è servito: le bacheche social del malcapitato o dei malcapitati si riempiono in pochi minuti di bestialità di ogni genere.

Era già successo, e probabilmente succederà ancora. L’ultimo caso riguarda proprio un post di Matteo Salvini che, forte dei suoi milioni di followers, non ha esitato a postare su tutte le sue piattaforme social un collage con i volti dei parlamentari che hanno scritto al governo per soccorrere i migranti in mare, corredato con la scritta: “Appello urgente di sinistra e 5 Stelle per porti aperti: foto ricordo”. Fra questi, peraltro, molti espulsi dal Movimento come il senatore Gregorio De Falco e il capogruppo a Palazzo Madama di Italia Viva Davide Faraone il quale non ha tardato a rispondere per le rime: “Caro Matteo Salvini, comparire su una delle tue foto segnaletiche per me è sempre una medaglia al valore. Però vorrei ricordare al ‘Senatore’ Salvini e al ‘papà’ Matteo, che su quella carretta del mare c’è una bambina di 7 anni. Potrebbe essere nostra figlia”, ha replicato su Facebook. Ovviamente non tutti hanno gli strumenti per difendersi dagli attacchi mediatici di un leader politico. Ne sa qualcosa il ragazzo accusato di spacciare droga nel corso di una diretta Facebook ripresa poi da tutti i mass media. Stiamo parlando della famosa citofonata di Salvini al presunto spacciatore avvenuta di un quartiere popolare di Bologna nel corso della campagna elettorale per le regionali in Emilia Romagna.

Ma basti pensare anche a quando, nella stessa competizione elettorale, il leader della Lega ironizzò su un ventunenne dislessico dopo il suo intervento sul palco delle Sardine, facendolo così prendere di mira sui social. La Bestia – il meccanismo della propaganda social di Salvini che riesce a viralizzare in pochi minuti i post del segretario – è molto “feroce” con avversari politici ma anche con i contestatori: chi espone cartelli contro le politiche della Lega viene immediatamente esposto alla valanga di minacce dei suoi seguaci. Nessuno vuole mettere il bavaglio a internet, ma la violenza della gogna mediatica ha effetti deleteri. Un pugno di like o di voti non valgono la dignità di una persona bullizzata sulla rete.