La delirante versione delle destre sul flop Expo

La narrazione che si è fatta dopo la notizia che l'Expo 2030 non si terrà a Roma ma a Riyad è piuttosto singolare.

La delirante versione delle destre sul flop Expo

Fa quasi sorridere. Ma la narrazione che si è fatta ieri dopo la notizia per la quale Expo 2030 non si terrà a Roma ma a Riyad, ricca capitale dell’Arabia Saudita, è piuttosto singolare. Da una parte, infatti, è stata riconosciuta la “vittoria” del principe saudita Mohammad bin Salman; dall’altra però nessuna parola di “rimprovero” è stata mossa per chi oggi in Italia ricopre il ruolo simile: da una parte il capo dell’Arabia, dall’altra – si direbbe – il presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

La narrazione che si è fatta dopo la notizia che l’Expo 2030 non si terrà a Roma ma a Riyad è piuttosto singolare

Con le dovute e ovviamente fondamentali differenze, se volessimo fare un parallelismo dovremmo farlo inevitabilmente tra queste due figure. E invece non in Italia. Se per tutti Riyadh ha vinto per il lavorìo diplomatico (e anche economico) di Bin Salman, nessuno da noi ha pensato di dire che forse – forse – la colpa è del mancato forcing istituzionale e diplomatico di Palazzo Chigi. Meglio, invece, prendersela con Roberto Gualtieri e, addirittura, Virginia Raggi. È evidente il trattamento da due pesi e due misure. Ma tant’è.

Ciononostante è tutto scritto nero su bianco sui tanti quotidiani che hanno dato risalto a questa notizia, con questa chiave di lettura. A titolo di esempio basta il titolone di Libero: “Roma Kaputt mundi, Expo addio. L’Arabia ospiterà l’evento nel 2030. Che figuraccia per Raggi e Gualtieri: nelle votazioni arriviamo terzi su tre candidati”. Nessuna parola sul governo che, invece, avrebbe dovuto garantire maggiore presenza diplomatica e convincere della bontà del progetto Expo a Roma. E invece nulla. Nel corso dell’articolo, tanto per dire, si legge una lunga riflessione che parte dallo sguardo “a quel che è stata l’immagine di Roma da qualche lustro a questa parte: una città in preda al degrado, ai malfunzionamenti dei servizi, con illegalità diffusa e autentiche “zone franche“. Una tavolozza infelice in cui, spesso, hanno attinto testate straniere, dipingendo una capitale come fosse una sorta di cartolina ingiallita, condannata al deperimento nel ricordo di tempi gloriosi. Al di là nel caso specifico ed elogi che alla base dell’assegnazione di Expo, è questo il lato su cui riflettere. E devono farlo, soprattutto, i sindaci delle ultime due tornate comunali”.

Ovviamente solo gli ultimi due sindaci. Nessuno più. Fa niente che, anche se volessimo fare qui un parallelismo, Bin Salman non brilla proprio per una gestione trasparente e lodevole della cosa pubblica tra privazione dei diritti, omicidi loschi, affari militari, e chi più ne ha più ne metta. Il punto vero, invece, è che come ha detto lo stesso sindaco di Roma determinanti sono stati, soprattutto, i petroldollari sauditi. Una mole di denaro dinanzi alla quale, ovviamente, non avremmo potuto competere. Ma si sarebbe potuto rispondere con l’arte diplomatica. Che, invece, è mancata totalmente. E questo avrebbe dovuto essere opera e onere del governo e, in particolar modo, di Palazzo Chigi.

E la politica? Stesso identico registro. “Non mi sorprende e mi addolora il terzo posto della Capitale, che ha raccolto meno voti anche della coreana Busan”, ha ad esempio dichiarato la consigliera regionale Micol Grasselli, vice presidente della VI commissione Lavori pubblici della Regione Lazio. “La città più bella del mondo è stata ridotta ad una discarica a causa di una classe dirigente incapace e dannosa che in questi ultimi anni, dalla Raggi a Gualtieri, non solo non ha saputo valorizzarla per la sua storia millenaria centrale nella cultura occidentale, ma con questo ultimo risultato, ci ha fatto perdere un impatto economico da 50,6 miliardi di euro, e straordinari masterplan urbanistici come la riqualificazione dell’area di Tor Vergata e il lungo corridoio verde che avrebbe collegato l’Esposizione agli adiacenti siti archeologici della via Appia e agli altri edifici e monumenti storici della Capitale. Con questa sconfitta ci hanno umiliato e hanno umiliato la nostra storia invidiata da tutto il mondo”, ha concluso Grasselli.

Tutto quello che c’è stato prima – tanto per dire: Mafia Capitale con tanto di commissariamento della Capitale stessa – non conta. E forse non conta perché prima della Raggi c’erano amministrazioni di destra (al di là della breve parentesi Ignazio Marino). Ma, a quanto pare, tali precisazioni sono solo dettagli. Non potrebbe essere altrimenti se anche il forzista Alessandro Cattaneo, ospite ieri su La 7, ha dato identica lettura: “Se vogliamo parlare di responsabilità politica, bisognerebbe fare riferimento al governo della città di Roma, visto che il commissario di Expo indicato da Draghi è il sindaco Gualtieri, espressione del centrosinistra. Potrei dire quindi – ha proseguito – che tutta la colpa è del governo di centrosinistra della città, e che, vista la situazione di Roma, era naturale che chi doveva decidere avrebbe virato su altro”.

È mancata del tutto l’azione diplomatica che spettava a Palazzo Chigi e non al Campidoglio

In realtà, ancora una volta, la questione non può che essere diplomatica. Per un motivo molto semplice: c’è un problema se, tanto per dire, Parigi non ha votato Roma ma, appunto, l’Arabia Saudita. Qualcosa non ha funzionato nell’apparato istituzionale centrale. E non ci voleva di certo un mago per capire che un video all’ultimo momento della stessa premier non avrebbe aiutato a risolvere la questione. A chiudere il quadro non poteva mancare proprio un esponente del governo. Di quel governo che, dicono diversi analisti, avrebbe dovuto fare decisamente di più per spingere la candidatura di Roma. A parlare è stato Adolfo Urso, attuale ministro per il Made in Italy.

La bocciatura della candidatura italiana per Expo 2030 era “purtroppo un esito in larga misura prevedibile, perché siamo partiti tardi”, ha detto il meloniano. “Il governo Conte e la sindaca Raggi decisero di proporre piuttosto ritardo questa candidatura come una sorta di ripiego a fronte del rifiuto delle Olimpiadi per Roma che forse sarebbero state un obiettivo più facilmente raggiungibile anche perché Expo la avevamo già avuta a Milano nel 2015 – ha spiegato ancora il ministro Urso – La candidatura si è materializzata con il governo Draghi e noi l’abbiamo eredita e abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare per raggiungere l’obiettivo”. A quanto pare, verrebbe da dire e pensare leggendo queste parole, l’obiettivo era far vincere Riyadh e Mohammed Bin Salman. Missione compiuta.

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