La destra pensa al dopo Salvini. E a trovare un nuovo leader. Comunque finisca la faida nella Lega, Matteo è debole. Un nome nuovo come Zaia fermerebbe la Meloni

Comunque finisca la faida nella Lega, Matteo Salvini è debole. Un nome nuovo come Zaia fermerebbe l'ascesa di Giorgia Meloni.

La destra pensa al dopo Salvini. E a trovare un nuovo leader. Comunque finisca la faida nella Lega, Matteo è debole. Un nome nuovo come Zaia fermerebbe la Meloni

Roma caput mundi, sicuramente, ma anche Milano, la capitale economica italiana, non è da meno e in questa tornata di amministrative – che chiama al voto le più importanti città del nostro Paese – sarà proprio da sotto la Madonnina che arriveranno le indicazioni su quali potrebbero essere gli scenari futuri più plausibili nel centrodestra E i rapporti di forza al suo interno, sia in termini di “tenuta” che di leadership. “Chi prende un voto in più sarà il leader della coalizione” è il mantra che ripete da sempre il segretario della Lega Matteo Salvini – o meglio dai gloriosi e perduti tempi del 34% alle Europee del 2019 – adottato con convinzione da qualche mese a questa parte, per ovvie ragioni, anche da Giorgia Meloni che col suo FdI sta scalando le “classifiche”. A scapito del Carroccio.

Non è un caso che il comizio finale in sostegno del candidato “civico” Luca Bernardo, sostenuto da Lega, FdI, Forza Italia e Noi con l’Italia di Maurizio Lupi, che in città si ripresenta come Milano Popolare, l’ultimo sabato prima della chiamata alle urne vedrà la Meloni salire sul palco in Piazza Duomo da sola, con alle spalle il simbolo del suo partito e nessun altro. Un bel colpo, nella città natale sia di Silvio Berlusconi che di Salvini, dove quest’ultimo peraltro è stato ininterrottamente consigliere comunale sin dal 1993 quando entrò a 20 anni a Palazzo Marino a seguito dell’elezione a sindaco del leghista Marco Formentini.

E che quest’anno ha dato forfait: il leader del Carroccio non sarà capolista della Lega Salvini Premier per il Comune di Milano; un dato politico non di poco conto che lascia intendere come i sondaggi di lista non siano dei migliori. Ma si sa, la colpa è sempre degli altri e in questi giorni lo sport preferito dalle parti di Via Bellerio è quello di imputare agli “alleati” di FdI, in particolare ai suoi “uomini forti” sul territorio Ignazio La Russa e Daniela Santanchè, di aver organizzato in Lombardia una campagna elettorale “pensata più per regolare i conti all’interno della coalizione che non per vincere”.

STRADA IN SALITA. Nel centrodestra, in ogni caso, Bernardo non solo si è ritrovato nel mezzo di queste faide ma è pure alle prese con una campagna elettorale sempre più in salita, basti pensare al suo sfogo di qualche giorno fa a causa del ritardo dei versamenti di alcuni partiti sul conto corrente destinato a sostenere le spese, arrivando a minacciare addirittura di “abbandonare la tenzone elettorale” per “tornare a fare il mio lavoro che mi piace molto”. La vittoria dell’uscente Beppe Sala è pressoché scontata, anche perché non solo la Lega ma anche FI potrebbe svegliarsi la mattina del 4 ottobre con una sorpresa alquanto sgradita: non arrivare alla soglia psicologica del 10%.

Non che a livello nazionale stia meglio – gli ultimi sondaggi accreditano gli azzurri al 7% – ma il problema in realtà è un altro: la mancanza di un leader carismatico per la successione al fondatore Berlusconi. In assenza di delfini interni all’altezza, è noto che si stia facendo scouting all’esterno, cercando il famoso “papa straniero” che dovrebbe avere le caratteristiche di un Giovanni Malagò, per intenderci. Moderato, ben visto in Europa e nelle cancellerie straniere, in Vaticano e nei salotti buoni. Quello che in verità, per tonare in casa Lega, non è neanche Salvini (l’identikit è quello di un Fedriga o di uno Zaia), alle prese peraltro con un partito spaccato, come ha dimostrato la fiducia sul Green Pass ieri alla Camera, votata solo dal 60% dei deputati leghisti.

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