“La fine del Governo Draghi farà bene al M5S. Ma stia a sinistra del Pd”

Parla il sociologo del Lavoro, Domenico De Masi: "Il ruolo di Conte marginale nella crisi".

Il Governo Draghi è giunto al capolinea. Secondo lei professor Domenico De Masi, sociologo del Lavoro tra i più accreditati in Italia, a chi si devono attribuire le maggiori responsabilità di questa crisi?
“Avendo Mario Draghi la maggioranza assoluta in Parlamento, se non si fosse dimesso, la settimana scorsa, avrebbe potuto tranquillamente proseguire. Dunque è lui la causa della crisi. Nulla gli impediva di continuare”.

Si è trattato di un atto di irresponsabilità lasciare?
“Si vede che per i suoi calcoli e per le sue esigenze personali era la soluzione migliore. Il pallino era tutto nelle sue mani e ha fatto una scelta precisa. Non è più presidente del Consiglio né presidente della Repubblica, quindi le due massime cariche dello Stato gli sono state precluse. In entrambi i casi dal Parlamento. Ma nel caso del Quirinale sarebbe stato felice di esser eletto. Nel secondo caso ha mosso le pedine in modo che questo fosse l’esito. Non solo nel primo discorso ma anche nella replica non ha mostrato alcun cedimento. Ha detto queste sono le mie condizioni se vi piacciono bene sennò arrivederci”.

Lega e FI volevano una rinnovata squadra di Governo senza M5S. Una proposta irricevibile per il premier. A che gioco stanno giocando Salvini e Berlusconi?
“Sul comportamento di Lega e FI fa riflettere il ruolo dei media. Per 5 giorni si è parlato solo dei 5Stelle quando il vero problema erano Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. I media se ne sono accorti mercoledì che il problema non erano i 5Stelle. Un’autentica vergogna. I veri protagonisti della fuga di Draghi sono stati Salvini e Berlusconi, il M5S è stato marginale”.

Draghi ha sferzato i partiti in Parlamento. Avrebbe potuto utilizzare toni diversi?
“Draghi ha fatto il discorso più populista che potesse fare. Populista significa scavalcare i corpi intermedi e rifarsi direttamente al popolo. Questo ha fatto Draghi. Ha scavalcato i partiti. Certo, avrebbe potuto almeno nella replica addolcire alcune affermazioni ma non l’ha fatto. È stato anzi ancora più duro. Sottintendendo che ‘io sono quello che sa cos’è il bene del popolo e voi non lo sapete. Queste sono le mie condizioni per il bene del popolo, se vi va bene ok altrimenti addio’”.

La fine del Governo Draghi coincide con la fine del campo largo?
“Coincide con la fine della sinistra, perché ora avremo almeno 5 anni di destra al potere”.

Di Maio, Renzi, Calenda, Toti guardano tutti al grande centro. Viste le diverse sensibilità crede che possano convergere tutte queste varie anime?
“A conti fatti sono intorno al 15% come il Psi di Craxi. Dove vanno da soli? Con chi si alleano?”.

Quello che sembra delinearsi è una sfida tra i partiti che sostengono un’agenda Draghi e quanti invece non hanno votato la fiducia all’ex banchiere. Come giudica lei quest’agenda?
“Se si giudica dal punto di vista delle banche è una cosa, se si vede dal punto di vista del popolo è un altro. In questi mesi del Governo Draghi sono aumentati i poveri e i salari degli italiani sono i più bassi dell’Europa. Se si vede dal basso il giudizio è negativo se si vede da parte di banche e aziende è positivo”.

Si era schierata a favore del premier la Confindustria.
“Si era schierato con Draghi in realtà tutto il mondo potente sia italiano che straniero. Nessuna dichiarazione ho visto invece da parte di gruppi di base, di disoccupati. Ma solo sostegno da parte di occupati e occupati bene”.

Da dove deve ripartire ora il M5S secondo lei?
“Deve fare tanto. Deve darsi un paradigma, che significa indicare il modello di società che si vuole offrire ai propri votanti. Dopo di che deve prendere posizione nello scacchiere nazionale. Se stare a sinistra, a destra o al centro. E secondo me l’unica posizione adesso disponibile è quella a sinistra del Pd. Perché il centro è iper affollato. Deve darsi un’organizzazione. E poi deve formare la propria classe dirigente. Deve individuare quali sono i suoi avversari e quali i suoi alleati. E poi deve fare strategia di progresso elettorale. Ma questo vale pure per il Pd”.

Come giudica, a proposito, lo stato di salute del Pd?
“Farei un discorso più ampio sulla sinistra. Pd e 5S più la Sinistra e Articolo 1 insieme fanno poco più del 30% invece i poveri fanno 12-13 milioni. Quindi significa che la sinistra non intercetta la sua base di riferimento naturale che sono gli svantaggiati, i precari. Gli svantaggiati sono tantissimi. Se non votano a sinistra, come immagino, o se si astengono allora significa che è una sinistra fasulla, che ha sbagliato tutto e deve rifare tutto. Ora avrà 5 anni per riflettere. Il problema della sinistra ora è capire se riesce a trovare un leader unitario e una coesione tra i partiti che dicono di farne parte”.

Ma insomma l’alleanza tra Pd e M5S è irrinunciabile?
“Se si vuole fare un Governo di sinistra senza i 5S non ci sono i numeri. Solo con i partiti di centro il Pd non ce la farebbe. Senza considerare che i 5Stelle non stringeranno mai alleanze con Matteo Renzi che è stato il loro principale accusatore. La situazione è confusa”.

Ma parte dei dem non vuole più saperne del M5S…
“Vuol dire che andranno all’opposizione. Solo che tra loro, che governano da sempre, e il M5S, all’opposizione ci sa stare meglio il Movimento. Rimane comunque il problema di ricostruire la sinistra. Che deve saper intercettare il malessere di un’ampia fetta della popolazione. Ci sono 13-14 milioni di poveri dove drenare i suoi consensi ma se non ci riesce vuol dire che deve rivedere la sua strategia”.