La guerra dei giudici di pace. Una vita da precari con troppo lavoro e pochi mezzi

Lo sciopero dei giudici di pace fa saltare circa 200 mila processi. Due settimane di sciopero per ”denunciare una condizione di precariato intollerabile e illegale, senza alcuna tutela previdenziale, della salute e della maternita’ e senza garanzia di indipendenza e autonomia”: la protesta dei giudici di pace e’ cominciata oggi e durera’ fino al 6 dicembre. Secondo i primi dati, l’adesione allo sciopero e’ ”del 95%”. Saranno garantiti solo i ”processi urgenti”.

LA NOSTRA INCHIESTA PUBBLICATA SULL’EDIZIONE CARTACEA DI VENERDì 22 NOVEMBRE 2013

di Clemente Pistilli

Prendono schiaffi e sgobbano in silenzio. Tutti i giorni. Da anni. I giudici di pace non ce la fanno più a dover smaltire una mole enorme di lavoro senza avere alcuna tutela e non potendosi prendere neppure il lusso di beccare un raffreddore. Ora hanno deciso di incrociare le braccia. Paralizzeranno gli uffici per due settimane. Verranno rinviate migliaia di cause, cresceranno le spese e vi saranno disagi a non finire. Magari sarà la volta buona che per la politica suonerà la sveglia e la categoria inizierà a ricevere un minimo di attenzione. Lo sciopero è stato indetto dalle organizzazioni di categoria, l’Unione nazionale giudici di pace e l’Associazione nazionale giudici di pace, inizierà il prossimo 25 novembre e andrà avanti fino al 6 dicembre.

La denuncia
Le organizzazioni di categoria hanno scelto questa volta la linea dura. Braccia incrociate e per il massimo del tempo possibile. Lo hanno comunicato al presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, al ministro della giustizia, Annamaria Cancellieri, e a tutti i presidenti di Corte di Appello, partendo proprio dalla promessa disattesa dalla guardasigilli sul mandato quadriennale. La legge di stabilità contiene “provvedimenti di lungo respiro, da provvedimenti finanziari triennali e oltre a misure che modificano stabilmente la normativa in materia di trattamento degli statali”. Ma per i giudici di pace niente. Per i magistrati in agitazione vi è poi il rischio concreto di “gravissimi e immediati problemi sulla funzionalità ed efficienza degli uffici del Giudice di pace”, di “paralisi”, considerando che tutti i mandati dei giudici attualmente in servizio stanno per scadere e la revisione della geografia giudiziaria, la cosiddetta riforma Severino, che ha portato al taglio di un altissimo numero di sedi e a concentrare tutti i procedimenti in pochissimi uffici, non aiuta. “Ci chiediamo – sostengono le organizzazioni di categoria – quale coerenza vi sia da parte del Governo e del Parlamento, tra il denunciare da un lato l’esigenza insopprimibile di porre fine ai gravi ritardi della giustizia, ipotizzando un aumento delle competenze dei giudici di pace, come autorevolmente auspicato dal Comitato dei saggi e dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il mostrare d’altro canto disinteresse e sfavore nei confronti della Giustizia di pace, la quale da quasi un ventennio smaltisce in tempi rapidissimi due milioni di controversie penali e civili l’anno, con una durata media dei processi inferiore all’anno e costi venti volte inferiori a quelli dei Tribunali, anche tenuto conto degli effetti deleteri della legge Pinto in materia di ragionevole durata del processo”. Bastonati in pratica i pochi che evitano allo Stato di pagare migliaia di euro per processi che durano una vita, che vedono quotidianamente piovere condanne e , tra un ricorso e l’altro, lievitare i rimborsi.

Tutti uguali ma non troppo
La disparità di trattamento tra giudici onorari e di carriera fa a pugni con la stessa Costituzione. Non è possibile avere magistrati di serie A e di serie B. La carta fondamentale non fa distinzioni e i giudici di pace lo fanno rimarcare: “L’onorarietà qualifica esclusivamente le modalità di accesso alla funzione giudiziaria ordinaria che, per consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, è unica ed assoggettata solo alla legge, nei limiti in cui la legge medesima rispetti i principi inviolabili di indipendenza, imparzialità, professionalità ed efficienza del giudice”. Poi l’affondo: “Non esiste una giustizia onoraria, semmai una giustizia che funziona e una giustizia che non funziona”. Difficile dare loro torto.

Ignorata anche Bruxelles
La stessa Europa non ha mancato di bacchettare l’Italia sui magistrati onorari. Abituati ai brutti voti da parte di Bruxelles, i politici forse non se ne sono curati troppo, sono soliti cercare di correre ai ripari esclusivamente quando arrivano le infrazioni e si finisce a pagare milioni di multe, ma sul tema sono intervenuti tanto la Corte europea dei diritti dell’uomo quanto il Comitato dei ministri del consiglio d’Europa. L’Ue ha specificato che, senza alcuna distinzione, a tutti i magistrati devono essere riconosciuti i diritti fondamentali alla continuità del servizio, tutele previdenziali e assistenziali, rappresentanza negli organi di autogoverno, d
diritto di difesa nei procedimenti disciplinari. Tutto inutile. In Italia se ne fregano e, dinanzi ai silenzi e all’inerzia delle istituzioni, i giudici di pace sono entrati in sciopero per “la durata massima consentita”. Scelta giustificata con la “gravità della situazione, l’incomprensibile atteggiamento negativo di alcuni esponenti politici nel portare avanti progetti che negano i diritti fondamentali” e appunto “il silenzio del Ministero della giustizia. Per due settimane, da Aosta a Palermo i cittadini resteranno senza giustizia. Per risolvere i loro problemi dovranno attendere.

Mandati a termine, niente pensione e assicurazione

Sono oltre duemila in tutta Italia, hanno sulle loro spalle il 60% della giustizia civile, migliaia di cittadini si rivolgono loro per risolvere i piccoli e grandi problemi della vita di ogni giorno, ma sono costretti alla precarietà, con una retribuzione di 50 euro lordi a sentenza, senza pensione, maternità, malattia, ferie. I giudici di pace cercano di garantire giustizia a tutti, ma lo Stato non si cura di darne un po’ anche a loro. Tante promesse sempre disattese. L’ultimo schiaffo quello ricevuto dal guardasigilli Annamaria Cancellieri, che aveva promesso ai magistrati di stabilizzarli almeno per quattro anni, salvo poi inserire nella legge di stabilità la proroga di un solo anno. Cambiano i governi, ma non cambia la sostanza per quest’esercito di giudici, quasi tutti in scadenza nei prossimi dodici mesi. Il rischio di creare l’ennesima comunità di disoccupati dall’alta professionalità e di vedere il sistema giustizia franare sotto le macerie dell’indecisione parlamentare è concreto.

Sempre in bilico
La figura del giudice di pace è stata istituita nel 1995, prevede un mandato di quattro anni, rinnovabile massimo tre volte. Nel 2002 tali uffici si sono poi visti ampliare le competenze, con il risultato che, in particolare nel civile, il peso maggiore grava sulle spalle di tali magistrati, lasciati senza alcuna tutela, a dispetto di quanto accade con i loro colleghi della magistratura ordinaria. I giudici di pace si occupano dei problemi condominiali, dei disagi creati ai cittadini da fumi e rumori, dei ritardi nei pagamenti previdenziali e assistenziali, della miriade di cause di valore inferiore ai cinquemila euro, e di un lungo elenco di reati tra i più odiosi, perché hanno un impatto immediato nella vita di tutti, dai danneggiamenti agli ubriachi che si mettono alla guida di un’auto, dall’occupazione di edifici alle minacce. Un lavoro enorme fatto sempre da precari. Su un organico previsto di 4.700 giudici di pace, in Italia quelli in servizio sono 2.200, meno della metà del numero necessario per affrontare un carico imponente di lavoro. Vengono pagati in base alla quantità e alla qualità dell’attività svolta: circa 50 euro lordi per una sentenza e circa 10 lordi per un decreto ingiuntivo. Nei prossimi dodici mesi i mandati di larga parte dei magistrati italiani impegnati in tali uffici scadranno ed è prevista solo l’ennesima proroga di un anno. Le toghe poi potranno essere messe senza troppi convenevoli alla porta.

Una mole di lavoro enorme
I giudici di pace, dal 1995 al 2011, hanno definito ben 23 milioni e mezzo di cause civili e penali. Nel civile, soltanto nel 2011, i magistrati impegnati negli uffici italiani di pace si sono visti piovere addosso un milione e mezzo di nuovi procedimenti, oltre mezzo milione solo di quelli cosiddetti di cognizione, a fronte dei 389.390 iscritti nei Tribunali. Il risultato? Grazie a tali magistrati i processi di cognizione trattati dai Tribunali, dal 1994 ad oggi, sono diminuiti del 45%. Fondamentale tale lavoro è poi risultato per mantenere in vita le imprese piccole e medie, quelle su cui si regge il sistema Italia, che hanno necessità di riscuotere in fretta i crediti: mezzo milione i decreti ingiuntivi emessi. Una giustizia, tra l’altro, virtuosa. In un Paese caratterizzato dai processi-lumaca, per cui l’Europa ci bacchetta, i giudici di pace definiscono in media un procedimento nell’arco di un anno, contro i cinque anni dei Tribunali, costando dieci volte meno dei loro colleghi della magistratura ordinaria. Per le toghe onorarie lo Stato stanzia 80 milioni di euro ogni anno, mentre per le toghe di carriera non basta un miliardo di euro.

Nessuna tutela
Difficile trovare un lavoratore italiano trattato peggio dei giudici di pace. Oltre alla precarietà, non hanno alcuna tutela previdenziale. O provvedono da soli a crearsi una pensione o raggiunta una certa età non avranno alcun reddito. Di più: non hanno assicurazione per gli infortuni sul lavoro. Vietato infine ammalarsi, andare in ferie o fare un figlio: per i giudici di pace non sono previste indennità. Se lavorano bene altrimenti niente. Le giustificazioni poco contano. Sono i nuovi schiavi, seppure in toga.