La lobby si beve le tasse

Di Carmine Gazzanni

Non c’è che dire, quello dell’acqua è un business incredibile: 2,4 miliardi di litri imbottigliati e un giro d’affari da 2,3 miliardi di euro in mano a 156 società e 296 diversi marchi. E mentre i privati godono, le casse pubbliche languono: sono incomprensibili i vantaggi che quasi tutte le regioni (ad eccezione di Lazio e Sicilia) assicurano alle aziende, in barba a direttive comunitarie e nazionali. Col risultato che oggi le regioni raccolgono poco più di 16 milioni complessivi a fronte di oltre 228 milioni che avrebbero potuto richiedere con canoni più equi. Questo è lo spaventoso quadro che emerge dal dossier – dal titolo non casuale, “Regioni imbottigliate” – pubblicato da Legambiente in collaborazione con Altreconomia sui canoni di imbottigliamento delle acque. Dal resoconto emerge che le aziende pagano soltanto 1 euro ogni mille litri, appena 1 millesimo di euro per litro imbottigliato. Una cifra assolutamente irrisoria, soprattutto se paragonata al prezzo medio di vendita: 0,26 euro al litro. Una discordanza incredibile, dunque, dietro cui si celano le responsabilità delle regioni stesse che, come detto, stabiliscono canoni di concessione estremamente bassi, “perfino in aree dove vi sono difficoltà di approvvigionamento idrico”.

Ognuno fa come vuole
Proprio per risolvere tale questione e per creare criteri uniformi su tutto il territorio nazionale, nel 2006 (dunque ben otto anni fa) la Conferenza Stato-Regioni aveva emanato un chiaro documento di indirizzo con canoni obbligatori per tutti: almeno 30 euro per ettaro dato in concessione e un importo tra 1 e 2,5 euro per m3 imbottigliato. Risultato? Nessuno, o quasi, rispetta tali parametri abbassando di gran lunga le imposte, a tutto vantaggio delle aziende private. In molte regioni, addirittura, le normative fanno riferimento a decreti precedenti agli anni 2000. E questo nella migliore delle ipotesi. Spesso, infatti, dobbiamo tornare indietro agli anni ’90 o, peggio, ’70. Oppure, come nel caso assurdo del Molise, al Regio Decreto n.1443 del 1927.
Ci sono, poi, anche regioni che hanno tentato maldestramente di adeguarsi. È il caso della “verde” Puglia che, nonostante abbia rivisto la norma nel febbraio 2014, ha stabilito criteri per il pagamento dei canoni di concessione assolutamente forfettari, dato che si prevede esclusivamente un canone annuo in funzione della superficie e non dei volumi imbottigliati. Una situazione simile a quella della Toscana dove, invece, si applica un unico canone solo in funzione dei volumi imbottigliati. Il risultato è disarmante: un totale di 16 milioni circa incassati, a fronte di potenziali 228 con canoni più equi ed eterogenei. Insomma, negligenza assoluta. Che, peraltro, potrebbe avere effetti ancora più drammatici per le casse pubbliche. Il motivo è presto detto: accanto a quanto obbligherebbe la legge italiana, ecco anche le normative europee che ci chiedono, ormai da tempo, di attuare un sistema di tassazione “ambientale” per tutte quelle attività che nel loro svolgimento causano un impatto sul territorio e sulle risorse naturali. In altre parole, non è così impensabile che si arrivi ad una procedura d’infrazione (l’ennesima) che si aggiungerebbe alle ben 117 aperte nei confronti del Belpaese.

Piange l’ambiente
Una situazione incredibile. E non solo da un punto di vista economico, ma anche ambientale. Leggere per credere: secondo i dati del dossier vengono utilizzate oltre 6 miliardi di bottiglie di plastica da 1,5 litri, per un totale di più di 450 mila tonnellate di petrolio utilizzato e oltre 1,2 milioni di tonnellate di Co2 emesso. Grandi quantitativi di plastica dunque che, purtroppo, solo per un terzo vengono correttamente avviate a recupero e riciclo. Senza dimenticare poi il trasporto che è su gomma per circa l’85% del totale. Il motivo? Beviamo molta più acqua imbottigliata rispetto ai colleghi eruopei: circa 192 litri per abitante (più di mezzo litro a testa al giorno). Tanto che, si legge nel dossier, bisognerebbe portare avanti “azioni e campagne per la promozione e la diffusione dell’utilizzo dell’acqua di rubinetto attraverso iniziative di sensibilizzazione dei cittadini e nelle scuole”. Tra danni ambientali e regioni accondiscendenti, insomma, a brindare sono solo i privati. Salute.