La missione sui marò si trasforma in una gita. Tutti in visita al museo Ghandi

di Angelo Perfetti

Siamo andati in India con una delegazione di parlamentari per un preciso scopo: fare pressioni al governo locale per la liberazione di due nostri soldati ingiustamente bloccati a Nuova Delhi da due anni con un’accusa che prevede la pena di morte. Ti aspetti che la politica si limiti a questa missione, quasi a volerla considerare una “missione di guerra”. E invece no. La missione si trasforma in una gita, con tanto di gradevole visita al museo. Un museo importante, per carità, ma non è questo lo spirito con cui si è partiti. Né questa l’immagine che si dovrebbe dare agli indiani. Non siamo lì per divertirci, per acculturarci, per visitare; siamo andati lì per battere i pugni sul tavolo. O almeno così credevano gli italiani. Invece stamattina  la casa dove Gandhi è stato ucciso a New Delhi, forse il luogo più simbolico di tutta l’India, è stata visitata dalla delegazione di parlamentari italiani accompagnati dall’ambasciatore Daniele Mancini. La missione, se così vogliamo chiamarla, è stata salutata da un gruppo di bambini che intonavano canti in omaggio al Mahtma. Foto di rito, gadget, ricordini. Alla faccia dei marò rinchiusi in una gabbia (dorata) come l’ambasciata.