La partita non è chiusa. Ma il Recovery Fund è utile se parte subito. Al Consiglio Ue Conte ha fatto un gol. Resta il nodo dei tempi e dei soldi

Che il Consiglio Ue di giovedì abbia segnato una tappa fondamentale per l’Italia e per la tenuta dell’Europa stessa, è fuor di dubbio. Giuseppe Conte, grazie anche alla sponda fondamentale di Macron, è tornato a casa con un risultato impensabile fino pochi giorni fa: il piano Recovery Fund. Sebbene permangano ancora questioni importanti da dipanare – la tempistica di erogazione dei bond, la natura e l’entità degli stessi – è comunque un risultato non da poco aver ufficializzato la necessità di poter contare su uno strumento “innovativo e urgente” che preveda l’emissione di titoli comuni. Strumento che si va in ogni caso a sommare a quanto fatto sinora dalla Bce, che ha già comprato 71 miliardi di euro di titoli Stato di cui almeno la metà sono titoli italiani, e al pacchetto di misure già previste dall’Eurogruppo che dovrebbero essere operative dal primo giugno.

Si tratta del piano della Bei a sostegno delle imprese, quello denominato “Sure” per garantire i lavoratori e il Mes. La necessità, adesso, è quella di mobilitare in tempo utile le risorse necessarie per ridare slancio alle economie dell’Eurozona colpite dalla crisi, e il nostro Paese è ovviamene fra quelli. Soddisfazione nella maggioranza per il compromesso raggiunto in Europa, con il segretario dem Nicola Zingaretti (“quello che chiedevamo, l’Europa si sta muovendo”), Matteo Renzi (“la conclusione del Consiglio Ue è un ottimo passo in avanti”) e il capo politico del Movimento 5 Stelle Vito Crimi (“in Ue tutti stanno finalmente comprendendo la portata della posta in gioco e facendo squadra”) che sembrano essere finalmente sulla stessa lunghezza d’onda. Ma c’è un ma. Ed è facile da comprendere quale sia: mentre il Pd, Italia Viva e Leu sono concordi nel considerare i 37 miliardi del Mes per le spese sanitarie un’opportunità a cui non rinunciare, il Fondo salva Stati, tra i più intransigenti del Movimento non va proprio giù.

Tant’è che sette deputati pentastellati hanno votato sì ieri mattina in Aula alla proposta di FdI di “impegnare il governo a non usare il Mes in alcun caso”. Il governo ha espresso parere contrario e il resto dei parlamentari 5 Stelle, che da sempre si professano contro il ricorso al Mes, ha votato contro: sul blog delle Stelle hanno poi giustificato la bocciatura alla proposta del partito di Giorgia Meloni bollandola come “una provocazione naturalmente respinta”, ma in realtà è lo stesso Crimi, prima del voto, a rilasciare dichiarazioni più “soft”, quasi possibiliste, sull’utilizzo del famigerato Mes: “Un Mes senza condizionalità vere lo valuteremo. Sono 37 miliardi con condizionalità, anche se c’è chi parla di un Mes senza condizionalità, se è così voglio vederlo nero su bianco”. E ancora: “Se avessimo la certezza che nessuno dopo 2/3 anni venga a commissariare il Paese possiamo valutarlo, ma deve essere certo, e oggi non lo è”. Sicuramente non sono i toni di Alessando Di Battista e di quanti vedono il Mes come una bestia nera da non prendere minimamente in considerazione, senza se e senza ma.