Il 23 luglio 2025 l’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali (Fra) ha pubblicato un rapporto che mette l’Ue davanti a un bivio: continuare a militarizzare le frontiere e violare i diritti fondamentali, oppure applicare la propria stessa Carta dei diritti colpendo i veri responsabili della cosiddetta “strumentalizzazione dei migranti”. È un documento che non lascia spazio all’ambiguità. Secondo la Fra, “gli Stati devono smettere di punire i rifugiati sfruttati a fini politici” e rivolgere le misure repressive “agli attori ostili”, siano essi governi, milizie o reti di traffico sponsorizzate da Stati terzi.
La “strumentalizzazione”, così come definita dal diritto dell’Ue, si verifica quando un Paese terzo usa i migranti per destabilizzare uno Stato membro, mettendo a rischio funzioni essenziali dello Stato. Ma – sottolinea la Fra – i migranti non sono complici di questa strategia, bensì vittime inconsapevoli. Eppure le risposte degli Stati membri, Polonia e Lituania in testa, si sono concentrate proprio su di loro: respingimenti illegali, detenzione automatica, uso della forza al confine, famiglie separate, minori incarcerati.
Il Patto migratorio e l’ipocrisia dell’Ue
Il paradosso è che molte di queste pratiche – già condannate dalla Corte di Giustizia e documentate dalla Fra – vengono ora legittimate dal Nuovo Patto su Migrazione e Asilo, che entrerà in vigore a metà 2026. La Commissione Europea promuove il Patto come strumento di equilibrio, ma nella pratica incorpora procedure accelerate, trattenimenti prolungati e “finzioni giuridiche” che permettono agli Stati di aggirare diritti garantiti, come l’accesso all’asilo e il principio di non-refoulement.
Il ruolo della Fra – priva di poteri sanzionatori, ma dotata di autorità morale e scientifica – è quello di coscienza critica dell’UE. La direttrice Sirpa Rautio, giurista finlandese con esperienza presso Onu e Consiglio d’Europa, ha chiarito che la risposta alla strumentalizzazione non può essere l’erosione del diritto d’asilo. Anche nei casi di crisi, la Carta dei diritti fondamentali vieta esplicitamente la tortura, i trattamenti degradanti e il respingimento verso luoghi di rischio. Eppure queste garanzie sono sistematicamente sospese nei territori di frontiera.
Deterrenza e propaganda
Nel quadro europeo, l’Italia si distingue per la doppia strategica. Da un lato la “dottrina Piantedosi”, che punta a “fermare le partenze” con accordi di contenimento nei Paesi di transito. Dall’altro, il “Piano Mattei per l’Africa”, che promette cooperazione e sviluppo. Ma le missioni diplomatiche in Libia e Tunisia – tra fallimenti e ambiguità – mostrano che la priorità resta impedire gli sbarchi, non costruire alternative legali e dignitose.
Il Decreto Flussi, che prevede l’ingresso programmato di oltre 180.000 lavoratori stranieri nel 2025, è la foglia di fico di un sistema che continua a negare protezione a chi fugge da guerre e povertà. Il governo distingue tra migranti “buoni”, funzionali al mercato, e “clandestini” da respingere, anche a costo di violare la legge. Eppure la Fra ricorda che meno del 20% delle espulsioni è eseguito, rendendo il sistema inefficace anche sul piano pratico.
Una scelta politica, non tecnica
La militarizzazione delle frontiere, i muri, le armi puntate sui disperati, le intimidazioni contro le Ong non sono misure “necessarie”, ma scelte politiche. La Fra propone un’alternativa chiara: sanzioni mirate contro gli Stati che usano i migranti come arma ibrida, azioni legali contro compagnie di trasporto compiacenti, cooperazione internazionale fondata sul rispetto del diritto, non sul baratto di vite umane.
L’Ue ha gli strumenti per agire senza tradire i suoi principi. La domanda è se voglia farlo. Se preferisca restare fedele alla propria Carta dei diritti o piegarsi alla logica dei fili spinati. Se abbia il coraggio di guardare i migranti negli occhi, non come minaccia, ma come persone.