Come si dice: tutto è bene quel che finisce bene. Lo stralcio dalla Manovra della norma capestro proposta e approvata dal centrodestra in mezzo al caos dei lavori della commissione Bilancio del Senato, che – incredibile ma vero – avrebbe impedito ai lavoratori sfruttati e sottopagati di ottenere gli arretrati persino dopo la sentenza favorevole di un giudice, rappresenta un passo obbligato e profondamente coerente con i principi costituzionali. Quella disposizione, se approvata, avrebbe sancito per legge l’idea che il lavoro povero non solo è tollerabile, ma addirittura irreversibile: una volta accettato un salario insufficiente, nemmeno un tribunale avrebbe potuto ristabilire l’equità violata.
Sarebbe stato un precedente gravissimo. Non una semplice norma tecnica, come la maggioranza ha voluto far credere in una giornata, quella di lunedì, segnata dalle veementi proteste delle opposizioni, ma un vero e proprio ribaltamento del diritto del lavoro fondato sulla tutela della parte più debole del rapporto. Impedire il recupero degli arretrati avrebbe significato svuotare di efficacia la giurisdizione, trasformando le sentenze in atti simbolici e legittimando – di fatto – la sottopaga come modello. In un Paese già segnato dall’assenza di un salario minimo stabilito per legge, da stipendi troppo bassi e precarietà diffusa, dal primato in Europa per il part-time involontario ciò sarebbe corrisposto all’istituzionalizzazione del lavoro povero. In questo quadro assume un rilievo decisivo l’intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Il suo ruolo di garante della Costituzione, di “arbitro”, non si è limitato a una funzione notarile ma si è tradotto in una vigilanza concreta sui contenuti del maxi-emendamento, a cui ieri l’Aula di Palazzo Madama ha dato disco verde (ora passa alla Camera). L’espunzione della norma dal testo finale è il segno di un richiamo fermo ai valori fondamentali: il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente, così come sancito dall’art. 36 della Costituzione; la certezza del diritto, il rispetto delle decisioni della magistratura a cui il governo è allergico. Non è un’ingerenza nella politica, ma l’esercizio pieno di una responsabilità istituzionale. In tempi in cui la fretta legislativa, la compressione del dibattito e, altresì, un’ideologia accecante rischiano di produrre storture profonde, l’azione del Quirinale ricorda che esistono linee rosse impossibili da oltrepassare. Difendere la dignità del lavoro non è un’opzione: è il fondamento stesso della nostra democrazia.