Le infinite porte girevoli del Csm. Ecco perché frenano la riforma. L’organo della magistratura ridotto a poltronificio. Sette laici su otto nel 2014 venivano dal Parlamento

Il massimo organo della magistratura ridotto a poltronificio della politica. Un’esagerazione forse. Un rischio, tuttavia, che vedendo alcuni dati è tutt’altro che peregrino. Basta questo. Secondo il meticoloso studio realizzato da OpenPolis, il 15% dei membri del Csm dal 1959 ad oggi erano stati in Parlamento o al governo prima di entrare in nel Consiglio Superiore. Con un record incredibile stabilito nella scorsa consiliatura (2014-2018): su 8 membri laici ben 7 avevano avuto incarichi parlamentari o governativi. Forse è proprio da qui, da questi numeri, che dovrebbe partire il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, nella sua riforma. Una soluzione potrebbe essere quella del ricorso al sorteggio, ma non è così semplice: sarebbe infatti necessaria una modifica costituzionale, cosa che come si sa richiede un iter decisamente più lungo rispetto al normale percorso legislativo ordinario.

AVANTI UN ALTRO. Resta, però, il problema. Che richiede una soluzione. Problema visibile anche (e soprattutto) nelle cariche verticistiche. Dopo il presidente della Repubblica che di diritto è presidente del Csm e che ovviamente incarna la garanzia del rispetto delle leggi e dell’ordinamento giudiziario, ad occuparsi di tutte le beghe ordinarie – a cominciare dai passaggi di carriera di pm e giudici, cosa non secondaria come rivela il caso Palamara – è il vicepresidente dell’organo, incarico oggi ricoperto da David Ermini. Ebbene: su 19 vicepresidenti eletti dal 1959 ad oggi, in 11 casi si è trattato di una persona che era già stata parlamentare o membro del governo. Il 58% dei casi. E d’altronde lo stesso Ermini a riguardo è un caso emblematico: prima consigliere comunale a Firenze col Pd e poi deputato per due legislature prima di essere traghettato direttamente dall’Aula di Montecitorio al Consiglio di Piazza dell’Indipendenza.

Ma Ermini non è l’unico, ovviamente: anche il consigliere Emanuele Basile ha avuto esperienze politiche, essendo stato deputato della Lega Nord nella legislatura 1994-96. Non pochi, nel corso degli anni, sono anche i casi – esattamente come Ermini – di passaggi immediati da Parlamento a Csm. Il dato, raccolto ancora da OpenPolis, è eloquente e fa riferimento ancora una volta alla scorsa consiliatura: il 71% dei politici nazionali erano stati al governo o in Parlamento appena 3 mesi prima o meno. Tra loro l’ex vicepresidente Giovanni Legnini (Pd), per cui il passaggio è stato diretto da sottosegretario al ministero dell’Economia a membro del Consiglio. Senza dimenticare, ancora, l’attuale presidente del senato Maria Elisabetta Alberti Casellati (Fi) e il collega di partito Pierantonio Zanettin, passati direttamente dal Senato al Csm. Stesso discorso per Antonio Leone (Ncd) e Renato Balduzzi (Sc), provenienti da Montecitorio.

IL PERCORSO INVERSO. Non si pensi, però, che non sia possibile il contrario: dal 1990, infatti, in ben 4 casi membri laici hanno poi intrapreso la carriera politica. Il caso più eclatante è quello di Cosimo Maria Ferri, deputato in carica (Iv), eletto al Csm nel 2006 e nel 2013 diventato sottosegretario alla giustizia in tutti i governi di centrosinistra della XVII legislatura. Altro esempio è Lanfranco Tenaglia, magistrato in carica nel Csm dal 2002 al 2006, poi eletto nel 2008 in parlamento con il Partito democratico (del quale sarà anche responsabile giustizia durante la segreteria Veltroni). In ogni caso, un andirivieni continuo. Che forse sarebbe il caso di arrestare.