L’esito amaro dei ballottaggi fa scoprire a Renzi tutte le insidie dell’Italicum. Ribaltati i risultati del primo turno: ecco perché la riforma ora fa paura al premier

Non ci sono solo vincitori e vinti alla fine di questa tornata elettorale per i comuni. C’è anche una vittima importante, colpita e affondata dal voto. La cosiddetta “vocazione maggioritaria” è la prima vera “delusa” dalla debacle democratica registrata ai ballottaggi. In buona sostanza il progetto politico che doveva fare del Pd il perno del panorama politico italiano , si è dimostrato un gigante con i piedi d’argilla. E qualcuno ha tradotto questa battuta d’arresto come il canto del cigno del partito della Nazione. La lettura dei traumatici risultati, dal Veneto alla Sicilia, dimostra che al secondo turno delle elezioni, a cui quasi sempre il partito di maggioranza relativa si presentava da gran favorito, tutte le opposizioni si sono coalizzate, e spesso mescolate, per assestare al renzismo un colpo brutale e inatteso. Non solo a Venezia governata da 22 anni dalla sinistra ma anche in feudi apparentemente sicuri, come la “boschiana” Arezzo o la Gela di Rosario Crocetta. Il messaggio è apparso subito chiaro a Palazzo Chigi: un conto è presentarsi ai ballottaggi come partito del 41% (ormai una dato definitivamente evaporato), un altro come partito del 25%. Ciò spiega l’esultanza dei 5 Stelle, capaci di fare “filotto”’ – per stare alla metafora di Beppe Grillo – con 5 vittorie in 5 città in cui sono andati al secondo turno, e anche quella del centrodestra che ha dimostrato di essere tutt’altro che morto. In quest’ultimo caso, per la verità, il successo, è da attribuire soprattutto alla riuscita dell’esperimento delle liste civiche moderate, all’ interno delle quali si sono diluite le grandi tensioni tra centristi e leghisti. Ma un prezzo Matteo Renzi lo ha pagato anche al mancato rinnovamento delle candidature. Massimo Cacciari, riferendosi a Venezia, parla di un “suicidio perfetto”’ dovuto alle resistenze della vecchia nomenclatura mentre è giunto il momento che “’i vecchi se ne stiano a casa”’. L’elemento che balza agli occhi, a questo punto, è il riflesso che le amministrative potrebbero avere a livello nazionale: non a caso molto esponenti Pd chiedono di rivedere il meccanismo del ballottaggio previsto dall’Italicum per le politiche tra i primi due partiti. E’ diventato chiaro a tutti che in un duello tra Pd e 5 Stelle (o Lega) il pericolo concreto è che tutti i perdenti si coalizzino contro il primo partito, in una sorta di riedizione dello scontro tra Davide e Golia, ribaltando i risultati del primo turno. Soprattutto con questo alto tasso di disaffezione degli elettori (l’astensione sfiora ormai il 60%). Certo, nella sconfitta ha giocato un ruolo anche la sinistra dem che in molte realtà ha disertato le urne o sostenuto altri candidati. Rosy Bindi chiede un’analisi approfondita dei flussi di voto per capire da dove veniva il 41% delle Europee. Sta emergendo infatti la difficoltà della scommessa del segretario-premier di tenere insieme il voto dei moderati e quello della sinistra in uno scenario percorso da tensioni epocali come l’invasione degli immigrati, la divergenza di vedute con i partner europei anche di estrazione socialista (vedi la chiusura delle frontiere della Francia di Hollande), l’alta disoccupazione e l’ombra del default di Atene le cui conseguenze di medio termine, come ha spiegato un allarmato Mario Draghi, sono imprevedibili per tutta l’Europa. In altre parole il Rottamatore dovrà giocoforza chiarire una volta per tutte i rapporti all’interno del suo partito se vuole scongiurare la nascita alla sinistra del Pd di un “soggetto sociale” capace di condizionare stabilmente la sua strategia e riaprire la stagione dell’Ulivo-Unione.