Italiani sequestrati in Libia, la società ha ignorato i rischi. L’amministratore si era assunto ogni responsabilità

Ci sono documenti societari dai quali si apprende che Giorgio Vinai aveva assunto personalmente il controllo e la gestione dei rischio aziendali in Libia

Ci sono documenti societari dai quali si apprende che Giorgio Vinai aveva assunto personalmente il controllo e la gestione di ogni rischio aziendale. Potrebbe sembrare, a una prima occhiata, quell’eccesso di sicurezza su cui ha subito puntato l’indice la Farnesina. Ma potrebbe anche essere la prova della grande preoccupazione che avvolgeva il proprietario e amministratore unico della Con.i.cos, la società italiana di costruzioni colpita dal rapimento in Libia di due suoi dipendenti, Danilo Calonego e Bruno Cacace. La Notizia, nei giorni scorsi, aveva già rivelato i fronti aperti e le contraddizioni di cui la società è protagonista da diverso tempo, ben prima del sequestro dei lavoratori: una causa nei confronti dello Stato italiano per una questione di assicurazione dei crediti non riscossi in Libia e una doppia versione sui rischi che l’azienda correva nella zona di Fezzan, vicina ai suoi cantieri.

LA NOVITA’ – Adesso, sempre dalla relazione di gestione al bilancio del 2015, approvata nel giugno del 2016 (e quindi pochi mesi prima del rapimento), emerge un’ulteriore realtà destinata a far riflettere. Il proprietario dell’azienda, in pratica, si prende carico della gestione e del controllo di ogni rischio aziendale. Nella parte che analizza il contesto socio-economico libico, per esempio, si legge che “i rischi sono presidiati dalla struttura presente in loco e direttamente dall’amministratore unico”. Che altri non è se non lo stesso Vinai, titolare anche del 95% della società. Ancora, il documento dice che “la pluriennale esperienza in territorio libico permette di gestire il rischio paese direttamente a cura della struttura in loco, sotto il continuo diretto controllo dell’amministratore unico”. Quanto ai rischi interni, subito dopo, si aggiunge che “la società ha un suo sistema di reporting, pertanto le informazioni aziendali sono gestite e controllate direttamente dall’amministratore unico”. Ancora, in riferimento al rischio di credito si precisa brevemente che “è presidiato dall’amministratore unico”. E quando alla fine si approda al rischio Paese, la conclusione è la medesima: “Il rischio è sotto il diretto controllo, dell’amministratore unico”.

LA SINTESI – Insomma, solo pochi mesi prima del rapimento il riferimento al ruolo di Vinai in materia di rischi si ripete come un mantra. Come mai? A prima vista potrebbe sembrare un eccesso di sicurezza. Ma forse è il segno di come Vinai, pur consapevole della pericolosità della situazione libica, abbia valuto accentrare tutta la gestione dei rischi pur di recuperare soldi. La Notizia, sul punto, ha già ricordato come la Con.i.cos abbia in bilancio 21 milioni di crediti nei confronti dei clienti, gran parte dei quali in Libia. Insomma, le fette più grandi del business aziendale arrivano da lì. E magari Vinai, come altri imprenditori italiani nelle sue condizioni, si è assunto la responsabilità di correre rischi pur di presidiare le (incerte) fonti di guadagno.

Twitter: SSansonetti