Lite temeraria, Bonafede prova a salvare la riforma. La legge si è arenata in Senato. Oggi un vertice per trovare la quadra

Alla fine, per sbrogliare la matassa, è dovuto intervenire il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede (nella foto). Che ha convocato per oggi, a Via Arenula, una riunione per sbloccare l’iter del ddl sulle liti temerarie contro i giornalisti, a prima firma del grillino Primo Di Nicola, incagliatosi in commissione al Senato proprio quando il voto per il passaggio del provvedimento all’esame dell’Aula sembrava solo una formalità. E tutto a causa di alcuni rilievi sollevati all’ultimo momento proprio dal ministero della Giustizia, nella persona del sottosegretario Pd Andrea Giorgis.

Sentito martedì da La Notizia, ha assicurato che il rinvio del voto in commissione si è reso necessario per “eliminare refusi” dal disegno di legge e inserirlo eventualmente in un testo più ampio relativo a tutte le liti temerarie, non solo quelle contro i giornalisti. “Solo per rendere il ddl più efficace – ha aggiunto Giorgis -. Non si può ad esempio parlare giuridicamente di malafede, ma solo di dolo o colpa grave”. Una versione che, però, non ha, convinto per niente Di Nicola, che sarà presente alla riunione di oggi al ministero insieme ai capigruppo della commissione Giustizia del Senato: “Ho presentato un ddl con un solo articolo, proprio per evitare che finisse sul binario morto come accaduto negli ultimi 20 anni – ha replicato al sottosegretario -. Giorgis parli chiaro e dica se vuole o no questa riforma”.

Una posizione peraltro condivisa anche dal presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, che sta seguendo da vicino l’iter della legge. “La lite temeraria è una fattispecie tipica del mondo dell’informazione – spiega, sentito da La Notizia -. Equipararla ad altri ambiti professionali è sbagliato, perché, quando utilizzata contro un giornalista, non solo si lede l’articolo 21 della Costituzione e il diritto dei cittadini ad essere informati, ma mira ad interrompere – intimidendolo – la doverosa attività del cronista di informare. Per questo ritengo che il ddl Di Nicola non debba essere toccato – conclude -. Se si mette troppa carne sul fuoco, magari allargandone l’ambito di applicazione ad altre fattispecie, si rischia un altro nulla di fatto, l’ennesimo dopo i tanti già registrati negli ultimi vent’anni”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la Federazione nazionale della stampa.

“La battuta d’arresto subita dal ddl Di Nicola sul contrasto alle querele bavaglio non lascia presagire nulla di buono”, affermano Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, rispettivamente segretario generale e presidente del sindacato dei giornalisti. “Vorremmo sbagliarci e ci auguriamo di essere smentiti al più presto, ma il tentativo di emendare la proposta nella parte in cui prevede la condanna del querelante ad una pena pecuniaria non inferiore alla metà del risarcimento richiesto al giornalista nasconde il tentativo, trasversale a tutte le forze politiche, di eliminare – concludono i vertici della Fnsi – qualsiasi elemento di certezza nella determinazione della sanzione per introdurre una discrezionalità assoluta da parte del giudice che non è detto possa sempre tradursi in condanne esemplari”.