Lo sciopero dei treni ferma l’Italia, altro flop del ministro Salvini

Scioperi, treni fermi e rincari: il mandato di Salvini al Ministero dei Trasporti si rivela un Calvario. Su tutta la linea

Lo sciopero dei treni ferma l’Italia, altro flop del ministro Salvini

Ancora uno sciopero. Ancora pendolari fermi, treni cancellati, ore perse in stazioni senza voce. Questa volta l’astensione riguarda l’intero comparto ferroviario nazionale, indetta da Filt Cgil, Fit-Cisl e Uilt per otto ore. Le motivazioni sono puntuali come un treno che non arriva: il mancato rinnovo del contratto collettivo, l’assenza di un piano sul dumping contrattuale, l’aumento delle aggressioni al personale. Ma sullo sfondo si staglia una domanda più grande: cosa ha fatto il ministro dei Trasporti per evitarlo?

Matteo Salvini guida il dicastero da oltre due anni. Un arco temporale sufficiente per tracciare un bilancio, e i numeri parlano chiaro. La puntualità dei treni AV nel 2024 ha toccato il fondo con un 67,4%, mentre la lunga percorrenza ha visto oltre il 70% dei Freccia accumulare ritardi. La tratta Bari-Roma ha sfiorato il grottesco: 95% di treni in ritardo. Sul Milano-Pescara, 43 giorni su 45 hanno registrato disservizi. Eppure a febbraio 2025 Trenitalia ha rivendicato un miglioramento: 80,9% per l’AV. Basta? Se i dati vengono registrati ammettendo ritardi fino a 60 minuti come “accettabili”…

Cantieri, rincari e nessun piano

Nel frattempo, i passeggeri pagano di più. Aumenti del 4,26% in Toscana, del 4,5% in Liguria, +51% a Pasqua secondo Federconsumatori. E mentre si moltiplicano le proteste per l’inaffidabilità quotidiana, lo stesso Salvini invoca sabotaggi e “azioni dolose” come cause sistemiche. L’11 gennaio 2025 il nodo di Milano va in tilt: ritardi fino a 4 ore. Tre mesi prima, blackout a Roma: oltre 100 treni cancellati. Il ministro si affretta ad attribuire responsabilità a una ditta che avrebbe piantato un “chiodo su un cavo”. Nessuna analisi sullo stato della rete, nessun piano credibile per prevenirlo.

La gestione delle crisi si ripete: giustificazioni esterne, dichiarazioni d’allarme, assenza di responsabilità politica. L’Art ha segnalato la congestione strutturale della rete e l’inadeguatezza dei nodi urbani. Legambiente denuncia che al Sud circolano treni con un’età media doppia rispetto al Nord. Il 91% dei convogli non parte all’orario previsto. Il quadro è costante, il ministro no: troppe inaugurazioni, troppe dirette social, poca governance.

Precettazioni e isolamento

Non sorprende che in un clima del genere la conflittualità sindacale sia esplosa. Tra il 2023 e il 2024, oltre 500 scioperi hanno colpito il settore, il 42% del totale nazionale. Salvini ha risposto con precettazioni sistematiche, anche contro scioperi generali come quello di novembre scorso. In un caso, il Tar ha bocciato la sua ordinanza, riaprendo alla piena legittimità della protesta. La sua linea resta: silenziare la protesta, accusare chi sciopera di sabotare i cittadini.

Nel frattempo, i fondi del Pnrr vengono gestiti in modo da generare 1.200 cantieri al giorno, secondo il Mit. Ma l’effetto immediato è l’aumento dei disagi: blocchi, soppressioni, congestione. Il grande progetto del Ponte sullo Stretto assorbe energie, attenzione e miliardi: almeno 12, forse 14,5. I pendolari continuano a salire su treni vetusti. Ma Salvini parla di “visione strategica”.

Il suo isolamento politico è diventato strutturale. Nelle ultime crisi, né Fratelli d’Italia né Forza Italia lo hanno difeso. Tajani elogia Piantedosi come “il miglior ministro dell’Interno”, Barelli lo invita a restare dove sta, senza ambizioni di ritorno al Viminale. Il suo stesso dicastero – un tempo pensato come trampolino per il rilancio – rischia di diventare il suo confino. Le opposizioni chiedono le dimissioni. I cittadini si chiedono dove sia finito il ministro. E i treni continuano ad arrivare in ritardo.