L’onda nera resuscita le correnti. E nel Pd parte il processo a Elly

Partito il logoramento in vista delle Europee. Il voto è lontano ma nel Pd è già guerra sulle candidature.

L’onda nera resuscita le correnti. E nel Pd parte il processo a Elly

Il segnale è la missione rinviata a Bruxelles. Dopo la batosta alle elezioni amministrative la segretaria del Pd, Elly Schlein, ieri avrebbe dovuto volare a Bruxelles per incontrare suoi eurodeputati e discutere dell’importante voto di giovedì sul piano “Asap” con cui la commissione vorrebbe accelerare sull’invio di armi e munizioni all’Ucraina. La posizione della segretaria è sempre la stessa: massimo sostegno all’Ucraina ma che nessuno tocchi i soldi del Pnrr per investirli in armi.

Partito il logoramento in vista delle Europee. Il voto è lontano ma nel Pd è già guerra sulle candidature

All’interno dell’eurogruppo (come anche tra i parlamentari) invece sono in molti a temere che questa rigidità possa essere letta come un affievolirsi del sostegno a Kiev. Anche sulla guerra in Ucraina Schlein è schiacciata su due fronti, accusata di essere troppo moderata sia dalla parte più atlantista che da quella più pacifista del partito. Il viaggio è stato cancellato, dal Nazareno fanno sapere che “l’incontro si svolgerà online” ma è malumore che si aggiunge ai malumori.
Restare a Roma, spiega un deputato vicino alla segretaria, è anche una risposta a chi nel partito accusa Schlein di “evanescenza”, di essere stata troppo assente in queste ultime settimane e di essersi dedicata solo all’Emilia Romagna con il suo cerchio magico che tra alcuni suoi deputati è diventato il “tortellino magico”.

Nessuno si sogna di mettere in discussione l’utilità e l’opportunità della segretaria di recarsi nelle zone alluvionate ma i territori lamentano troppa disattenzione nei giorni caldi del ballottaggio. Qualcuno bisbiglia che avrebbe voluto vedere la sua segretaria molto “più presente e forte” sul “disastro di Fitto sul Pnrr”, altri sottolineano come ci sarebbe da lavorare per ottenere la nomina di Bonaccini commissario (che sembra ormai sfumata) e per risolvere una volta per tutte la questione delle presidenze dei gruppi. Tutte questioni che i dirigenti del partito vorrebbero affrontare nella direzione del partito che non è ancora stata convocata dalla segretaria. “Verrà convocata presto”, dicono dal Nazareno. Ma quel presto per la minoranza è già troppo tardi. Malumore che si aggiunge ai malumori.

Così mentre Schlein appare sempre più arroccata e assente dal dibattito pubblico la minoranza ha gioco fin troppo facile per caricare la narrazione logorante con cui, com’è nella natura del Pd, si cucinano i segretari prima di mangiarseli. La rotta la si può intuire dalle parole di Alessia Morani, ex parlamentare Pd e membro della commissione di garanzia dem, che nega che la “responsabilità” della sconfitta sia totalmente “in capo alla nuova segretaria nazionale” ma dice di non accontentarsi di avere il “vento forte di destra” come unica spiegazione: “Nella situazione in cui versa oggi il Pd – spiega Morani – dopo anni di scissioni, segreterie a dir poco confuse ed un congresso lungo 6 mesi in cui gli iscritti hanno indicato Bonaccini e alle primarie Schlein, non mi pare di potere dire che la condizione del partito unito sia realizzata”.

Il “disagio della parte più riformista e moderata” di cui parla Morani è il richiamo per chi ha orecchie per intendere: Base riformista non è contenta e il trucco sarà di continuare a chiedere “unità” fingendo di non sapere che è il sinonimo dolce di un desiderio di disarcionamento. È il peccato originale di questo Pd in cui le segreterie si consumano per fare sintesi tra differenze che non sono politiche ma sono solo strategia. Così la segretaria (o il segretario) di turno spendono gran parte delle energie per tenere a bada una disputa interna che è incomprensibile e non interessa.

L’opposizione – accade nei partiti e in Parlamento – è molto più comoda del governo e così è bastata qualche telefonata ai giornalisti giusti per raccontare le sconfitte come una “sconfitta di Schlein” e la vittoria a Vicenza con il sindaco Possamai come “una vittoria dei riformisti del partito”. Basti vedere come la minoranza dem stia sparando a palle incatenate contro Marco Furfaro, Marta Bonafoni, Francesco Boccia e Peppe Provenzano usando come clava i risultati dei loro territori. Quelli che invocano “l’unità del partito” sono gli stessi che allargano le crepe per scippare uno spicchio di sole.

“Misuratemi alle prossime elezioni europee”, dice Schlein ai suoi. Un’ingenuità che le potrebbe costare cara. Alle prossime elezioni europee (soprattutto dopo questi risultati alle amministrative) la troppa cautela della segretaria e il parossistico ardore della minoranza interna difficilmente partoriranno le liste che Schlein ha in mente. Sono troppi gli equilibri che la segretaria si illude di poter ancora preservare. Incombe il risultato alle europee del Pd che fu di Renzi (che già ieri qualcuno ha sfoderato come sciabola) e lo spettro di Bonaccini che potrebbe dimettersi dalla Regione Emilia Romagna per correre.

Infine ci sono le alleanze, di cui Schlein dice di non voler parlare ma che sono un elemento matematico imprescindibile. Gli appelli a Giuseppe Conte e al M5S sono caduti finora nel vuoto. Anche ieri Conte ha rifiutato di discuterne: “Siamo disposti a dialogare col Pd, ma su temi e sui progetti, misurandoci su delle proposte concrete ai bisogni delle comunità territoriali e della comunità nazionale, senza compromettere o annacquare le nostre principali battaglie”, ha detto ieri ai giornalisti tradendo un timore elettorale più che ideale.

Carlo Calenda azzarda una timida apertura ma ribadisce il suo “no al M5S”. “Si vince con una coalizione riformista”, dice il segretario di Azione, “non con un’accozzaglia”. L’incaglio è sempre quello. Di Matteo Renzi nemmeno parlarne ché, dice un parlamentare dem vicino alla segretaria, “ne abbiamo già troppo dentro il nostro partito”. Così nel Pd – roba da non crederci – a pochi mesi dalle elezioni della nuova segreteria c’è già chi lancia, come il sindaco di Pesaro coordinatore dei sindaci del Partito democratico, Matteo Ricci, una “Costituente vera del nuovo Pd” come “fase di rigenerazione, di riflessione e riorganizzazione guidata dalla nuova leadership del Pd per un nuovo centrosinistra”.

All’orizzonte c’è il solito finale già scritto: una segretaria che non riuscirà a tenere il partito e che non potrà nemmeno avere la soddisfazione di essere sconfitta sulle sue idee, sformate dalla sleale mediazione interna. Non vale la pena rischiare di perdere integri prima di perdere bolliti?