Mafia Capitale, pure siciliani e camorra obbedivano al Cecato. Nelle carte dell’inchiesta il marcio di Roma. Per Carminati legami anche con gli albanesi

A Roma la mafia è “cosca nostra”. Anzi, le mafie. Perché dalle 1228 pagine dell’ordinanza che inchioda il sistema criminale messo in piedi da Massimo Carminati, emergono pesanti (e proficui) rapporti con le grandi organizzazioni criminali tradizionali. Non solo ‘ndrangheta. Ma anche camorra e mafia. Tutte “obbedienti” alla politica di Carminati. Scrivono i magistrati: “il prestigio criminale di Mafia Capitale e del suo capo indiscusso, Massimo Carminati, ha trovato conferme anche in altre attività di indagini”. Attività che, nero su bianco, dimostrano come l’ex Nar fosse riuscito a creare una spaventosa rete di contatti. A cominciare dalla camorra. Oltre ai rapporti accertati con il clan di Michele Senese (attivo da tempo a Roma), forte è anche il legame con la famiglia dei Licciardi, già facente capo alla cosiddetta “alleanza di Secondigliano” di Napoli. A rivelarlo un episodio, ricostruito dai magistrati, del 22 novembre 2012. Mario Vecchioni, pregiudicato romano, viene sparato e gravemente ferito. Il movente sarebbe l’aggressione di qualche giorno prima di Vecchioni a Salvatore “Sasà”, fratello di Genny Esposito e figlio di Luigi “a’ Nacchella”, elemento di spicco proprio del clan dei Licciardi che, ora, operano anche a Roma proprio sotto l’egida di Senese. Ebbene, da quanto scritto dai magistrati a organizzare la spedizione punitiva sarebbe stato proprio Carminati.

L’INCREDIBILE RETE
Ma la vicenda Vecchioni va oltre e rivela anche ulteriori legami. A muoversi per risolvere la questione era stato anche Roberto Macori, “legato a Gennaro Mokbel e a Michele Senese”, il quale a sua volta faceva riferimento, parlando con Vecchioni, a una “batteria di albanesi” attiva a Roma di cui faceva parte anche l’ex pugile Orial Kolaj, arrestato a fine 2013 perché ritenuto “l’esattore” dei Casalesi ad Acilia. Una rete incredibile, dunque, che si chiude con un altro nome, contattato per intercedere con lo stesso Carminati. Ovvero Giovanni De Carlo, il “boss” dei vip, per il quale risultano “documentate aderenze con Carminati Massimo e Senese Michele”. Non è un caso che in un altro passaggio dell’ordinanza si rileva come De Carlo fosse molto vicino all’ex Nar (in un’intercettazione è definito il “tuttofare” di Carminati). Non solo: emerge dalla carte anche “la disponibilità, in capo a entrambi, di immobili” formalmente riconducibili a Marco Iannilli, il commercialista di Mokbel, condannato per la colossale truffa Fastweb- Telecom Sparkle.

OTTIMI RAPPORTI
Ovviamente, non poteva mancare Cosa Nostra. In un’intercettazione Ernesto Diotallevi (ritenuto uomo di raccordo proprio con la mafia) afferma che, nonostante il suo ruolo, “materialmente conta Giovanni”. Ancora De Carlo. Ancora il “tuttofare” che eseguiva gli ordini di Carminati. Non solo. Secondo quanto riferito da un altro mafioso, Sebastiano Cassia, il suo diretto superiore, Benedetto Spataro, appartenente al clan catanese dei Santapaola, “era in ottimi rapporti con Carminati” perchè “ punto di riferimento a cui lo stesso Spataro faceva capo” in caso si fosse palesata la necessità di “certe cose” da fare sulla Capitale. “Che ne so ammazza’ qualcuno qua a Roma, io… lui, Benedetto parlava pure co’ Massimo”.

Tw: @CarmineGazzanni