Marche, il giorno dopo il centrosinistra è davanti al bivio: Schlein assediata dentro il Pd e i dubbi crescenti tra i 5 Stelle

Dopo il voto nelle Marche, il centrodestra consolida il potere, nel Pd crescono le fronde, il M5S frena sull’alleanza. La Campania banco di prova.

Marche, il giorno dopo il centrosinistra è davanti al bivio: Schlein assediata dentro il Pd e i dubbi crescenti tra i 5 Stelle

Il risultato delle regionali nelle Marche non è soltanto una conferma locale ma un segnale politico di portata nazionale. Francesco Acquaroli ha ottenuto il 52,4% dei voti contro il 44,4% di Matteo Ricci, con Fratelli d’Italia primo partito al 27,4% e il Pd fermo al 22,5%. La Lega, ridotta al 7,3%, perde quasi centomila voti rispetto al 2020, ma la coalizione di centrodestra resta solida grazie alla crescita di Forza Italia, che con l’8,6% rivendica di essere «forza centrale» come ha detto Antonio Tajani. L’affluenza crollata al 50% ha pesato soprattutto sulle opposizioni, incapaci di mobilitare un elettorato sfiduciato.

Schlein assediata e il peso della sconfitta

Per Giorgia Meloni la riconferma di Acquaroli dimostra che «il buon governo paga» e rafforza la leadership nazionale. Per Elly Schlein, invece, la sconfitta apre un fronte interno difficile da gestire. La segretaria dem ha parlato di «sfida difficile» invitando a guardare alle prossime regioni, ma dentro il partito il clima è tutt’altro che sereno. Pina Picierno ha accusato i vertici di non saper «interpretare la crisi del ceto medio», mentre i riformisti lavorano a una piattaforma alternativa con la convention del 24 ottobre a Milano. Francesco Boccia ha tentato di minimizzare, definendo quello marchigiano un «voto locale», ma le voci critiche si moltiplicano e la tenuta della segretaria torna in discussione.

Matteo Ricci, sconfitto ma fedele al progetto, ha ammesso che «l’unità non basta ma senza non si compete». Il problema è che il Pd aveva considerato le Marche contendibili e il distacco di otto punti segna un fallimento strategico. Ricci non è riuscito a spostare consensi nelle province più ostili, mentre il centrodestra ha sfruttato la forza dell’incumbency e il sostegno diretto della premier. Per molti dirigenti dem la lezione è chiara: il campo largo, così com’è, non è sufficiente.

Conte frena, il campo largo vacilla

Giuseppe Conte ha parlato di «scelta di continuità» da parte degli elettori e ha definito «preoccupante» il calo dell’affluenza. Non una rottura, ma un chiaro segnale che l’alleanza non è un dogma. La linea dei 5 Stelle resta quella delle intese a geometria variabile: in Toscana il movimento resta all’opposizione, in Campania la candidatura di Roberto Fico è già minata dalla guerra sotterranea con Vincenzo De Luca. La fragile fiducia reciproca tra Pd e M5S, dopo la prova marchigiana, rischia di sgretolarsi nei prossimi mesi.

Intanto Avs riconosce la sconfitta parlando di «unità necessaria ma non sufficiente». Una formula che riassume la difficoltà di un progetto che non riesce a tradursi in un’offerta attrattiva per gli astenuti.

Centristi in agguato

Sul fronte centrista, le reazioni sono di segno opposto. Carlo Calenda definisce il campo largo «un’accozzaglia che provoca astensionismo», Davide Faraone di Italia Viva chiede «più riformismo e meno ideologia», mentre Maurizio Lupi osserva che «il campo largo si è rivelato stretto». Sono posizionamenti che puntano a erodere ulteriormente il consenso progressista, proponendo un’alternativa moderata e distinta.

Le Marche, considerate contendibili dal centrosinistra, hanno restituito un verdetto netto che pesa più del singolo risultato. Il centrodestra consolida la sua presa e rafforza Meloni, mentre il Pd si ritrova con una segretaria assediata e un partito diviso, il M5S con dubbi crescenti e i centristi pronti a occupare lo spazio lasciato libero. La Campania, con la frattura tra Fico e De Luca, appare come la vera prova decisiva: un altro passo falso potrebbe trasformare la sconfitta marchigiana nell’inizio di una crisi strutturale del campo largo.