Nazionalista con i soldi degli altri, il cerchio magico di Marine Le Pen vola nei paradisi fiscali. E la lista dei Panama Papers fa tremare anche la Cina che censura

Tra i nomi del Panama Papers spunta fuori anche quello della leader dell'estrema destra, Marine Le Pen. Mentre in Cina scatta la censura sull'elenco.

Anche lei, la madrina del nazionalismo francese, ha scelto di mettere i soldi nei paradisi fiscali. Marine Le Pen, leader del Front National, sarebbe infatti coinvolta nei Panama Papers che giorno dopo giorno stanno facendo tremare i potenti della terra. Il quotidiano Le Monde ha svelato che Le Pen ha creato “un sistema sofisticato tra Hong Kong, Singapore, le isole Vergini britanniche e Panama per far uscire fondi dalla Francia, attraverso società schermo e fatture false e con la volontà di sfuggire ai controlli del servizio antiriciclaggio francese”. Insomma, un piano ben architettato per non versare i tributi nell’amata Patria.

Come per tutti gli altri casi, compreso quello che riguarda Vladimir Putin, nella lista non è direttamente presente il nome della Le Pen. Ma è possibile risalire alla sua identità attraverso alcuni suoi stretti collaboratori: Frédéric Chatillon, amico fraterno della leader del Fn, e Nicolas Crochet, che già in passato aveva aiutato la leader dell’estrema destra a preparare un piano politico-economico. Solo che in questo caso la strategia sarebbe molto più personale. E riguarderebbe la tutela del patrimonio personale.

Censura sui Panama Papers
Mentre lo scandalo Panama Papers riempie le pagine dei giornali di tutto il mondo, in Cina è scattata la mannaia della censura: sui siti non c’è traccia della notizia che è rimbalzata dall’Europa all’Asia. La stretta del governo di Pechino è scattata dopo che nella lista di “furbetti”, con società intestate nei paradisi fiscali attraverso la Mossack Fonseca, figurano esponenti di primo piano del Partito comunista cinese.  Addirittura c’è Deng Jiagui, il cognato del presidente Xi Jinping. Quindi chi ha provato a cercare informazioni sui Panama Papers è rimasto a bocca asciutta: né su  Weibo (il twitter cinese) né su Baidu (l’equivalente di Google) la ricerca porta i frutti sperati.

D’altra parte la notizia non rappresenta una grossa novità: già in passato Consorzio internazionale per il giornalismo investigativo aveva raccontato come almeno 37mila cinesi, comprendendo anche Hong Kong e Taiwan, hanno fatto ricorso a società di intermediazione come la Mossack Fonseca per mettere i propri soldi al riparo dalle tasse. E nell’elenco in questione sono compresi i “padri della Patria” cinese. Anche in questo caso, insomma, il patriottismo non si concilia con il versamento dei tributi.

Caos islandese
Addirittura il tranquillo Nord Europa è scosso dallo scandalo. Il premier islandese, Sigmundur David Gunnlaugsson, sta passando un momento molto difficile. Migliaia di cittadini sono scesi in piazza per chiedergli le dimissioni, dopo che il suo nome è coinvolto nei Panama Papers. La manifestazione di piazza è stata imponente: il fatto che non siano state fornite stime ufficiali conferma la massiccia presenza. Del resto la mobilitazione ha preso anche la forma di una petizione già firmata da oltre 25mila persone. Una cifra considerevole in Islanda, un PAese che conta 320mila abitanti. Il primo ministro, tuttavia, ha ribadito la volontà di non dimettersi. Almeno per ora.