Netanyahu nega la mattanza, il solito Biden lo salva all’Onu

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, libera 50 detenuti palestinesi e intanto gli Usa lo salvano all’Onu.

Netanyahu nega la mattanza, il solito Biden lo salva all’Onu

Prima la strage di 12 palestinesi in attesa degli aiuti umanitari, poi lo scambio di accuse con Hamas e l’immancabile sostegno statunitense che all’Onu ha posto il veto alla mozione di condanna della mattanza nei confronti di Israele, e infine il tentativo di Benjamin Netanyahu di placare gli animi liberando 50 detenuti palestinesi. Passano le ore ma non le polemiche sull’ultimo eccidio commesso a Gaza che rischia di infuocare ancor di più il Medio Oriente specie alla luce della sconcertante decisione degli Stati Uniti, sempre pronti a chiedere a Netanyahu di evitare inutili massacri civili nella Striscia salvo poi tirarsi indietro quando si deve passare dalle parole ai fatti, che al Consiglio di sicurezza dell’Onu hanno posto il veto sulla mozione, supportata da tutti e 14 gli altri membri, che condannava Tel Aviv per aver “aperto il fuoco” sui civili.

Polemiche e tensioni per Netanyahu

Un crimine commesso a Gaza da Israele che l’Alto commissario per la politica Estera dell’Ue, Josep Borrell, non ha esitato a definire “una nuova carneficina, totalmente inaccettabile”, dicendosi “inorridito dalle notizie di ulteriori massacri tra i civili di Gaza che erano alla disperata ricerca di aiuti umanitari” e precisando che privare le persone degli aiuti umanitari costituisce una grave violazione” del diritto internazionale. Reazioni furiose che sono arrivate anche da diversi Stati Ue, in particolare dalla Francia di Emmanuel Macron, che sembra aver smosso a compassione Netanyahu che, forse rendendosi conto di aver esagerato, ieri ha ordinato l’inattesa liberazione di 50 detenuti palestinesi.

Tensioni che però non sembrano placarsi perché, contestualmente Tel Aviv ha cambiato la propria versione dei fatti. In un primo momento il portavoce militare di Tel Aviv aveva ammesso l’accaduto parlato di un “incidente”, ammettendo che i militari “hanno sparato contro chi aveva accerchiato i camion” giudicandoli “una minaccia”. Una ricostruzione confermata da Hamas che aveva acusato l’esercito di aver sparato sui civili, causando 112 morti e 760 feriti. Ma dopo 24 ore, Israele ha aggiustato il tiro – scaricando ogni responsabilità sui palestinesi – spiegando che, in realtà, i soldati avrebbero “sparato alcuni colpi in aria” e i decessi sarebbero stati causati dal fuggi fuggi della folla.

Indagine shock

Quel che è certo è che davanti a questi possibili crimini di guerra, spesso e volentieri il governo Netanyahu li ha giustificati ricordando i deplorevoli stupri delle donne israeliane portati avanti dai terroristi di Hamas durante gli attacchi del 7 ottobre scorso. Fatti che fino a ieri venivano dati per certi, per via di un dettagliato report pubblicato dal New York Times, ma su cui il The Intercept, popolare rivista d’inchiesta, ha sollevato diversi dubbi. Secondo il team investigativo del giornale digitale, il reportage del New York Times sarebbe “poco attendibile” perché realizzato da Anat Schwartz, un ultranazionalista legato ai servizi israeliani che tifava per la pulizia etnica in Palestina tanto da aver ripubblicato sui social un post in cui si leggeva: “Se tutti i prigionieri non verranno liberati immediatamente, Israele dovrebbe trasformare Gaza in un mattatoio”. Come segnala il The Intercept, Schwartz aveva cominciato a lavorare per il New York Times in concomitanza con l’attacco di Hamas malgrado “non avesse precedenti esperienze giornalistiche”, finendo per realizzare il reportage che ha indignato il mondo rendendo ‘accettabile’ la brutale reazione di Israele.

Ma qualcosa nel racconto dell’uomo non quadrava e a rendersene conto sono stati i giornalisti del New York Times che hanno protestato con la direzione al punto che “la firma della Schwartz è sparita dal giornale”. Incongruenze emerse anche in occasione del podcast del giornale statunitense che “voleva trasformare il reportage in un episodio” ma, a causa della mancanza di prove e quindi l’impossibilità di superare un fact checking, alla fine aveva deciso di annullare la puntata. In definitiva, conclude il The Intercept, il punto della questione non è “se atti individuali di violenza sessuale possano essersi verificati il 7 ottobre” in quanto “simili violenze non sono rare in guerra” quanto il fatto che il New York Times non ha presentato prove concrete ma solo ipotesi spacciate per fatti.