L’attesa fumata bianca tra Hamas e Benjamin Netanyahu non c’è stata neanche nell’ultimo round negoziale di ieri a Doha, in Qatar, eppure qualcosa sembra finalmente smuoversi. Certo, la strada appare ancora lunga, ma un alto funzionario israeliano, che ha chiesto l’anonimato, parlando con Reuters, si è detto ottimista sulla possibilità di raggiungere un accordo per il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi “entro una o due settimane”.
Lo stesso ha spiegato che appare “improbabile che le parti possano accordarsi nel volgere di poche ore in un singolo giorno”, perché le distanze restano, ma, secondo lui, sono stati fatti “passi importanti” in direzione di un’intesa tra il movimento islamista palestinese e la delegazione israeliana inviata dal primo ministro Netanyahu. Che non si tratti del solito gioco delle parti lo lascia intendere quanto riferito dalla rete televisiva israeliana Channel 12, secondo cui il Qatar avrebbe trasmesso un messaggio positivo alle autorità di Tel Aviv, affermando che “l’organizzazione si sta preparando per una possibile tregua e sta già predisponendo gli ostaggi per l’eventuale rilascio”.
“Accordo possibile in due settimane”, Netanyahu non chiude alla pace a Gaza, ma prende tempo. Intanto Hamas si prepara al rilascio degli ostaggi
Ulteriori conferme sui progressi nelle trattative sono arrivate direttamente da Netanyahu che, da Washington – dove proseguono i suoi incontri diplomatici con le autorità statunitensi – ha voluto rassicurare i familiari degli ostaggi, sostenendo che “sono stati compiuti progressi verso un accordo di tregua a Gaza”.
Peccato che lo stesso, evidentemente deciso a tenersi aperta ogni possibilità e nel tentativo di disinnescare i malumori dell’ultradestra israeliana di Itamar Ben Gvir – che minaccia una crisi di governo in caso di accordo – abbia anche affermato di condividere con il presidente americano Donald Trump, che da settimane lo sta pressando per accettare l’intesa su Gaza, “la strategia per giungere a un accordo sulla liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas”, precisando però che “Israele non firmerà alcun patto a ogni costo”. A suo dire, infatti, l’intesa potrà avvenire solo se si riuscirà a “porre fine al governo di Hamas a Gaza e a garantire che la Striscia non rappresenti mai più una minaccia per Israele”.
I nodi della trattativa secondo i media arabi
Stando a quanto emerge da Doha, i nodi più complessi che al momento impediscono l’accordo riguardano il ritiro dell’esercito israeliano (IDF) da Gaza – richiesto da Hamas ma che Netanyahu non sembra voler prendere in considerazione – e il controllo sull’asse Morag e sul Corridoio Filadelfia, lungo il confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, che Israele vuole mantenere “sine die”.
Proprio quest’ultimo punto sarebbe il più delicato: secondo il quotidiano panarabo Asharq Al Awsat, di proprietà saudita e con sede a Londra, le autorità egiziane si sono dette “contrarie a qualsiasi rioccupazione israeliana delle aree strategiche al confine, considerate dal Cairo una minaccia diretta alla propria sicurezza nazionale”, aggiungendo che se Israele non scenderà a compromessi, l’intera trattativa potrebbe saltare. Sempre Asharq Al Awsat riporta le parole di una fonte del governo egiziano che ha insistito: “Non si può imporre il fatto compiuto con piani che preludono allo sfollamento forzato dei palestinesi”, riferendosi al possibile raggruppamento della popolazione a Rafah e al trasferimento in altri Paesi dell’area, Egitto incluso.
La scia di sangue nella Striscia di Gaza non si arresta
Nel frattempo, sulla Striscia di Gaza continuano a piovere le bombe israeliane: l’IDF riferisce di aver distrutto oltre 130 infrastrutture terroristiche a Khan Yunis durante gli ultimi raid, eliminando “decine di terroristi” e colpendo “infrastrutture terroristiche sopra e sottoterra, tra cui depositi di armi, edifici con trappole esplosive, posti di osservazione e postazioni di lancio di ordigni contro le truppe”.
Drammatico il bilancio degli ultimi attacchi che, secondo quanto riferito da Al Jazeera, avrebbero causato la morte di almeno 24 palestinesi, dieci dei quali donne e bambini. Ancora più tragico è il fatto che – sempre secondo la rete qatariota – 13 di queste vittime si trovavano in fila per ricevere aiuti alimentari a Deir al-Balah, nella Striscia centrale. Hamas ha risposto con l’uccisione del sergente maggiore riservista israeliano Avraham Azoulay, durante un serrato scontro a fuoco. Un attacco che, promette l’IDF, “non resterà impunito”.