Se c’è una certezza nel conflitto mediorientale, è che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – nonostante il forsennato pressing dell’Unione Europea e, più di recente, quello sottotraccia di Donald Trump – non ha alcuna intenzione di fermare le ostilità che da quasi due anni devastano la Striscia di Gaza.
A dirlo chiaramente è stato lo stesso leader di Tel Aviv, che ha ribadito che, al termine dell’offensiva nell’enclave palestinese, l’esercito israeliano “controllerà tutta la Striscia di Gaza”. Lo stesso Netanyahu ha poi aggiunto, con l’evidente intento di mostrarsi “dialogante” agli occhi della comunità internazionale, che “se ci sarà un’opzione per un cessate il fuoco temporaneo, al fine di liberare ostaggi, saremo pronti a coglierla”. Il problema è che né lui – che da mesi sembra fare di tutto per prolungare il conflitto – né Hamas sembrano davvero concludere le ostilità.
Quel che è certo è che l’atteggiamento riluttante di Netanyahu, come riportano i media americani, avrebbe fatto perdere la pazienza a Trump. Circostanza evidente anche dal fatto, mai accaduto in passato, che durante la sua recente visita in Medio Oriente il presidente degli Usa non si è recato in Israele. Una versione che però Netanyahu ha smentito, affermando che si tratta di fake news. “Qualche giorno fa ho parlato al telefono con il presidente Trump, che mi ha detto: ‘Bibi, voglio che tu sappia che ho un impegno totale nei tuoi confronti e un impegno totale nei confronti dello Stato di Israele’”.
Netanyahu non si ferma neanche davanti all’attentato a Washington: “Israele controllerà la Striscia e Hamas verrà distrutta”
Eppure, le distanze tra i due leader sono evidenti. La prima frattura tra l’inquilino della Casa Bianca e il premier israeliano ha riguardato gli aiuti umanitari, bloccati a inizio marzo in modo unilaterale da Netanyahu. Su questo punto, Trump ha ordinato la ripresa delle consegne di cibo e medicinali nella Striscia “anche senza il consenso di Israele”. La seconda divergenza riguarda la linea da tenere nei confronti dell’Iran. Netanyahu ha più volte chiesto agli alleati statunitensi il via libera per attaccare le centrali nucleari e le strutture del programma atomico di Teheran. Richiesta alla quale Trump ha risposto con un secco “no”, dichiarandosi convinto di poter risolvere la crisi attraverso la diplomazia.
Secondo quanto riportato da Axios, Netanyahu sarebbe ormai pronto a lanciare un attacco contro Teheran, ma attende il fallimento dei negoziati tra Stati Uniti e Iran, confidando che questo lasci Trump deluso e, dunque, più incline a concedere il via libera ai raid. A queste indiscrezioni ha risposto il capo di Stato Maggiore delle Forze armate iraniane, il generale Mohammad Hossein Bagheri, dichiarando che “l’esercito è al massimo livello di prontezza” e che, in caso di attacco, “ci sarà una risposta di pari intensità”.
Attentato e polemiche
Intanto, nella Striscia di Gaza si continua a combattere e a morire. Negli ultimi raid, secondo le autorità locali, oltre alla distruzione di un “deposito di medicinali” a Gaza City, si sarebbero registrate “almeno 41 vittime palestinesi”. E il peggio potrebbe ancora venire, visto che l’Idf ha ordinato nuovi sgomberi in 14 aree a nord di Gaza, lasciando presagire una nuova, massiccia offensiva.
Una mattanza quotidiana che ieri ha spinto un 30enne di Chicago – subito arrestato dalle forze dell’ordine statunitensi – ad aprire il fuoco davanti al Capital Jewish Museum di Washington, al grido di “Palestina libera”, causando la morte di “due dipendenti dell’ambasciata israeliana”.
Un brutale attentato antisemita, giustamente condannato da tutto l’Occidente, che non può essere disgiunto dalla feroce – e sproporzionata – guerra nella Striscia, scoppiata dopo gli attentati di Hamas del 7 ottobre 2023.
Tuttavia, l’amministrazione Netanyahu sta sfruttando questo attacco a Washington per scagliarsi contro tutto e tutti. Su X, il ministro israeliano per la Lotta all’Antisemitismo, Amichai Chikli, ha scritto che i veri responsabili dell’attentato sono “il presidente francese Emmanuel Macron, il primo ministro britannico Keir Starmer e il premier canadese Mark Carney”, colpevoli di “incoraggiare i terroristi” e dunque considerabili “responsabili” della sparatoria.
Il ministro dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir, invece, ha puntato il dito contro le opposizioni israeliane: “Purtroppo, gli antisemiti nel mondo traggono forza da politici infami in Israele che accusano i soldati dell’Idf di uccidere bambini per hobby. Il sangue degli uccisi è anche sulle loro mani”.