Netanyahu allontana la pace con Hamas e si prepara a colpire pure Teheran

Netanyahu non vuole la pace con Hamas e getta il Medio Oriente nel panico valutando di colpire pure l’Iran

Netanyahu allontana la pace con Hamas e si prepara a colpire pure Teheran

Passano le ore e, malgrado l’iniziale ottimismo, le speranze di raggiungere un accordo per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas sono ridotte al lumicino. Come riporta il quotidiano israeliano Haaretz, i funzionari dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu hanno dichiarato che il movimento palestinese non ha ancora risposto ufficialmente alla proposta di accordo per il rilascio di 10 ostaggi in cambio di 40 giorni di tregua.

Che la trattativa possa improvvisamente sbloccarsi appare però una chimera. La BBC, citando una fonte palestinese coinvolta nei negoziati, ha infatti rivelato che Hamas avrebbe già respinto – in modo informale – la proposta israeliana di Netanyahu, in quanto non prevede l’impegno a porre fine alla guerra né a ritirare l’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza.

Per Gaza si mette male

Insomma, mancherebbe soltanto l’ufficialità. Lo sa bene il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, che – deciso a intensificare le pressioni – ha dichiarato che l’esercito israeliano (IDF) non si ritirerà dalle cosiddette “zone di sicurezza” nella Striscia di Gaza, in Libano e in Siria, dove le forze armate controllano oltre il 30% del territorio. Ha sottolineato che le truppe “resteranno come cuscinetto tra il nemico e le comunità israeliane” in modo permanente.

Ma non è tutto. Katz ha inoltre aggiunto che “nessun aiuto umanitario entrerà a Gaza” per un periodo indefinito, definendo tale misura “una delle principali leve di pressione su Hamas”.

Una posizione muscolare che di certo non favorisce i negoziati di pace, ma che al contrario rende pressoché impossibile raggiungere un’intesa tra le parti.

Di fronte a questo ennesimo stallo, l’IDF ha annunciato che “espanderà ulteriormente le proprie operazioni militari nella Striscia di Gaza se Hamas continuerà a respingere le condizioni per un cessate il fuoco”.

Le accuse a Israele del New York Times per la strage di medici

Nel frattempo, torna alla ribalta l’uccisione – avvenuta un mese fa a Gaza – di numerosi medici e paramedici della Mezzaluna Rossa e della Protezione civile palestinese durante una sparatoria con le forze armate israeliane.

Secondo quanto scrive il New York Times, smentendo la tesi del conflitto a fuoco degenerato, la maggior parte delle vittime sarebbe stata colpita alla testa o al petto, facendo ipotizzare vere e proprie esecuzioni. A sostegno di questa tesi, ci sarebbero i dati delle autopsie finiti nelle mani del quotidiano statunitense.

Ulteriori conferme proverrebbero anche dai resoconti dei testimoni, da alcuni video e da un audio registrato durante l’attacco del 23 marzo. Sempre secondo il New York Times, l’analisi dei documenti ha permesso di ricostruire anche altri comportamenti scioccanti, come il fatto che “i soldati israeliani abbiano seppellito la maggior parte dei corpi in una fossa comune, schiacciato le ambulanze, un camion dei pompieri e un veicolo delle Nazioni Unite, seppellendo anche questi ultimi”.

Accuse che l’esercito israeliano ha respinto, riferendo di aver aperto il fuoco sui veicoli di emergenza e sostenendo – senza fornire prove – che alcune delle vittime fossero agenti di Hamas.

Verso l’escalation: Trump e Netanyahu valutano un attacco preventivo all’Iran

Quel che è peggio è che, tra lo stallo diplomatico e le stragi, la guerra in Medio Oriente sembra avviarsi non verso una risoluzione, ma verso una nuova e pericolosa escalation.

A lasciarlo intendere è l’emittente televisiva israeliana Kan, secondo cui “una serie di voli cargo americani C-17 ha trasportato alla base aerea di Nevatim, in Israele, bombe MK-84 e missili intercettori destinati alle batterie Thaad, provenienti da basi statunitensi in tutto il mondo”.

Le forniture militari – spiega Kan – sarebbero “destinate sia al proseguimento delle operazioni nella Striscia di Gaza, sia a una possibile offensiva contro l’Iran, da condurre congiuntamente agli Stati Uniti nel caso in cui i negoziati sul nucleare tra Washington e Teheran dovessero fallire”, come appare ormai probabile.