La Sveglia

Occhi su Gaza, diario di bordo #52

Il genocidio non va in tregua. Mentre qualcuno celebra una pace che non esiste, i numeri raccolti da Medici Senza Frontiere cancellano ogni illusione: almeno 740 pazienti, tra cui 137 bambini, sono morti tra luglio 2024 e agosto 2025 in attesa di evacuazione; oltre 15.600 persone restano intrappolate in liste per trattamenti salvavita, un quarto sono minori. Solo 14 ospedali su 36 sopravvivono a regime ridotto, certifica l’OMS. Questa non è una tregua: è una sospensione amministrativa della morte, con il flusso di sangue regolato da chi tiene in mano la valvola.

La Corte internazionale di giustizia ha stabilito che Israele è obbligato a consentire e facilitare gli aiuti umanitari, incluso l’accesso di UNRWA. Ventiquattr’ore dopo, un funzionario israeliano risponde che «UNRWA non metterà più piede a Gaza». Un no secco alla legalità internazionale, quasi rivendicato. Nel frattempo, i carri armati sparano ancora a Khan Yunis e Sheikh Nasser, mentre ufficialmente la tregua resta in vigore.

Anche la verità continua a essere sequestrata: la Corte Suprema israeliana ha rinviato ancora di trenta giorni la decisione sull’accesso dei giornalisti a Gaza, lasciando sul tavolo la petizione della Foreign Press Association. Nel frattempo, le autorità israeliane liquidano un collaboratore della ZDF ucciso come «terrorista travestito da giornalista».

Dentro questo palco di devastazione, la nuova relazione di Francesca Albanese, Relatrice speciale ONU, pronuncia parole definitive: il genocidio è un «crimine collettivo», reso possibile dalla complicità degli Stati che sostengono politicamente, militarmente e diplomaticamente Israele.

Chi continua a parlare di pace copre il rumore dei carri che non si sono mai fermati. Chi continua a stringere mani sporche di embargo e veto, ne condivide il crimine. Per questo tutti gli occhi devono rimanere su Gaza.