Un’assoluzione ancora tutta da discutere. È quella ottenuta in primo grado dal vice-premier Matteo Salvini, nel processo Open Arms, dove era imputato di rifiuto d’atti d’ufficio e sequestro di persona in danno dei 147 naufraghi soccorsi dalla nave dell’Ong spagnola nell’agosto 2019. La Procura della Repubblica di Palermo infatti ha presentato ieri il ricorso alla Corte di Cassazione contro l’assoluzione del 20 dicembre 2024. Si tratta di un ricorso per “saltum”, che evita il processo d’appello, e arriva direttamente alla Cassazione.
Secondo Oscar Camps, fondatore della Ong, “i fatti sono stati ampiamente ricostruiti in primo grado, abbiamo piena fiducia nel lavoro della Procura”. La procura di Palermo aveva richiesto una condanna a sei anni di reclusione.
L’auto-difesa di Salvini
“Difendere l’Italia e i suoi confini non è un reato, anche se qualcuno non si rassegna”, ha dichiarato ieri Salvini. “Ho fatto più di trenta udienze, il Tribunale mi ha assolto perché il fatto non sussiste, riconoscendo che difendere i confini non è un reato. Evidentemente qualcuno non si rassegna, andiamo avanti: non mi preoccupo”, ha aggiunto il vicepresidente del Consiglio.
Meloni: “Accanimento surreale”
Il ministro delle Infrastrutture ha ottenuto subito la solidarietà dell’intero centrodestra, a partire da Giorgia Meloni, che sui social ha postato: “È surreale questo accanimento, dopo un fallimentare processo di tre anni – a un ministro che voleva far rispettare la legge – concluso con un’assoluzione piena. Mi chiedo – ha continuato la premier – cosa pensino gli italiani di tutte queste energie e risorse spese così, mentre migliaia di cittadini onesti attendono giustizia”.
Piantedosi: “Imputabile anch’io”
“Se Salvini è imputabile per quello che ha fatto, allora mi tengo moralmente imputabile anche io. Mi dispiace molto, per motivi umani e professionali – ha affermato l’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi – Ho vissuto quella stagione, so cosa ha significato. Quell’azione fu compiuta per contrastare l’immigrazione illegale, una questione che resta centrale ancora oggi, anche rispetto all’Africa e alle sfide contemporanee”.
Il ministro ha ribadito che “la sentenza di assoluzione si fondava su principi molto retti” e ha espresso rammarico per il significato simbolico della scelta della Procura: “Dispiace vedere che un ministro dell’Interno possa essere di nuovo chiamato in causa per reati così gravi legati a una politica legittima, oggi condivisa da molti governi nel mondo”.