Palazzo Chigi val bene qualche balla

di Vittorio Pezzuto

Scelta Civica e Nuovo Centrodestra festeggiano come un condannato nel braccio della morte a cui abbiano spostata la data dell’esecuzione. Forza Italia si frega le mani soddisfatta: nemmeno il più tetragono anticomunista avrebbe mai sognato di poter assistere in diretta streaming allo spettacolo di un partito che pugnala a freddo il suo premier e prova a giustificare il suo voltafaccia riempiendosi la bocca di parole come «fase nuova», «responsabilità», «scelte coraggiose» e «interesse del Paese». E grazie al senso di responsabilità di Letta (che oggi rassegnerà le sue dimissioni), il Pd tira un sospiro di sollievo: non dovrà votare in Parlamento un’incomprensibile sfiducia al suo premier. Questa la sintesi di una giornata non commendevole che di politico ha ben poco.

Speranze illusorie
Qualcuno potrà obiettare che Renzi in questa situazione è stato spinto da altri, che alla lunga fosse davvero difficile resistere alle pressioni che gli giungevano da Confindustria, sindacati e giornaloni in perenne conflitto di interessi che non hanno esitato a sfruttare il libro di Friedman per inviare un micidiale ultimatum all’inquilino del Colle. Probabile. E quindi inquietante. Perché un simile contesto dà l’esatta misura di quanto il futuro premier sia cedevole agli imput dei poteri economici, di quanto illusoria sia la speranza che il suo brutale avvento a palazzo Chigi possa segnare un tratto di discontinuità. Non è sufficiente avere linguaggio, abiti, amicizie, auto e ministri differenti per potersi dire nuovi.

Classe dirigente?
D’altronde il viso tirato di Renzi ieri comunicava molto di più delle sue parole. Il sindaco di Firenze (a proposito, in città arriverà un commissario prefettizio?) sa bene che da oggi non gli verrà perdonato più nulla. Troppi rancori ha suscitato nel Pd, troppe delusioni sta seminando nell’opinione pubblica. Sgomenta la disinvoltura con la quale ha sacrificato ogni personale e politica coerenza sull’altare del potere. Il Rottamatore della vecchia classe dirigente ha dimostrato tutto d’un botto di essere un politico come tanti altri, solo un tantino più spregiudicato e mendace. Andatevi a rileggere le dichiarazioni che ha scagliato a raffica negli ultimi mesi, quando giurava di non ambire a palazzo Chigi, di essere il primo supporter dell’amico Enrico Letta, di lavorare per il rafforzamento del governo: vi coglierà un senso di straniamento (e di comprensibile disgusto) di fronte a un esercizio tanto feroce di doppiezza. Roba da far impallidire anche i suoi maestri democristiani. E che i suoi compagni di partito siano impastati della medesima materia lo provava ieri la triste teoria di interventi al palco della direzione democrat. Persino la minoranza del partito ha fatto a spintoni per buttare giù dalla torre il povero Letta. Lì dentro è stata tutta una gara a cambiare opinione in pochi minuti, fiutando l’aria che tirava.
Un esempio? Gianni Cuperlo, ore 16.32: «Chiedo che la direzione non venga chiamata a esprimersi con un voto anche per evitare un precedente che non appartiene alle democrazie parlamentari». Gianni Cuperlo, ore 17,20: «Assumiamo la linea politica indicata dal segretario. Voteremo a favore». Capite bene che se questa è classe dirigente non resta che attenderci un futuro drammaticamente ridicolo.