Perché i parlamentari cambiano casacca? Ogni spostamento di gruppo vale 56mila euro

Già oggi, a metà legislatura, 200 parlamentari, oltre un quinto del totale, sono passati ad altri gruppi a quelli a cui erano iscritti

Perché i parlamentari cambiano casacca? Ogni spostamento di gruppo vale 56mila euro

Perché i parlamentari cambiano casacca e passano da un gruppo a un altro durante la legislatura? Già oggi, a metà legislatura, 200 parlamentari, oltre un quinto del totale, sono passati ad altri gruppi rispetto a quelli a cui si erano iscritti. Per questo c’è un piano anti-transfughi che balla. E una cifra: 56mila euro. Ovvero quanto porta in dote ogni deputato o senatore che cambia gruppo.

Perché i parlamentari cambiano casacca? Ogni spostamento di gruppo vale 56mila euro

A parlare del piano è oggi Repubblica. Evidenziando che ogni senatore che entra in un gruppo parlamentare porta in dote circa 56 mila euro l’anno. Aumentando così il plafond di contributi ricevuti dalla Camera di appartenenza e utilizzabili per pagare collaboratori, staff, iniziative, a disposizione di ogni eletto. Di fatto l’ultimo baluardo del finanziamento della politica, divenuto assai più consistente del 2xmille: oltre 50 milioni l’anno (21 al Senato, 31 alla Camera nel 2019). Il gruppo comporta anche altri diritti: tempi di intervento in aula, presenze nelle  commissioni, esenzione dalla raccolta delle firme per presentarsi alle elezioni.

Per questo un transfuga è sempre ben accolto dal gruppo di arrivo. E infatti il famigerato Gruppo Misto in Senato è il quarto con 47 iscritti. Come fare per fermare la diaspora ad ogni legislatura? Il senatore del Partito Democratico Dario Parrini ha messo a punto una proposta che parte da un punto: “Il gruppo Misto può solo calare durante la legislatura e non crescere. Deve esistere unicamente per accogliere i partiti che alle Politiche non hanno eletto un numero di parlamentari sufficiente ad avere diritto ad un gruppo autonomo”. Come è accaduto ad esempio per Leu.

Nessun regolamento potrà impedire ad un parlamentare di lasciare il gruppo in cui è stato eletto, è un diritto che gli concede la Costituzione. Ma, spiega Parrini, «o va in un altro partito oppure deve finire tra i non iscritti, senza finanziamenti e prerogative, non più al Misto con tanto di agevolazioni». Al Senato (che già nel 2017 approvò una stretta) la categoria dei non iscritti esiste, ma viene utilizzata solo da alcuni senatori a vita. Nel Parlamento europeo invece è lì che finisce chi non ha i requisiti per un gruppo.

Come fermare la diaspora verso il gruppo misto

La proposta di Parrini punta a rendere difficile la vita anche di chi vuole far nascere gruppi e sottogruppi. Oggi per formarne uno bastano 10 senatori e un simbolo che ha corso alle elezioni. Ora, dice il parlamentare Pd, va introdotto anche l’obbligo di avere almeno un eletto con quel simbolo. Come ha fatto Italia Viva, che ha usato il simbolo del segretario del Psi Riccardo Nencini. Ma ora si dovrà convincere la giunta del Senato ad approvare il nuovo regolamento o almeno a occuparsi delle modifiche.

Se non altro perché è in ballo anche il taglio dei parlamentari. Che, giocoforza, porterà a rivedere soglie dei gruppi, quorum e forse anche numero delle commissioni. Un percorso simile si prevede pure alla Camera. Verrà presentata entro maggio in Giunta la bozza di riforma del regolamento su cui sta lavorando un comitato di relatori, tra cui il dem Emanuele Fiano. Anche qui si parte dalla necessità di adeguare le norme al taglio dei parlamentari, anche qui il Pd proporrà una stretta anti trasformisti.

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