Per la manovra non c’è un euro: Meloni può fare solo deficit

Per la manovra il governo Meloni non ha soldi: non resta altro che elemosinare più flessibilità da Bruxelles.

Per la manovra non c’è un euro: Meloni può fare solo deficit

La crescita asfittica dello zero virgola a cui pare averci condannato il governo Meloni, il rialzo dei tassi e lo spread che continua a salire, tutto contribuisce in senso negativo ad assottigliare gli spazi del governo per la prossima manovra. E la caccia alle risorse diventa una missione impossibile. L’esecutivo mette infatti le mani avanti. La nota di aggiornamento al Def in arrivo sarà “come sempre di responsabilità, come è nei tratti caratteristici di questo Governo, di rigore sui conti”, ha detto il sottosegretario del Mef Federico Freni.

Anche se non tutti i partiti sono disposti a rinunciare alla tentazione di piantare le proprie bandierine. Il ministro leghista Matteo Salvini assicura che nella prossima legge di Bilancio per esempio ci sarà un primo stanziamento per il Ponte sullo Stretto. In questa manovra c’è spazio solo per le priorità, è il mantra dell’esecutivo. Con il ministero dell’Economia che guida la linea della cautela di fronte ad un quadro tutt’altro che roseo. Ma forse di fronte alla richiesta del suo leader di partito sarà disposto a fare uno sforzo in più. Ne sapremo di più oggi con la presentazione della Nadef.

Manovra in salita, spread alle stelle

La direzione in cui si lavora punterebbe a ricavare proprio dalla leva del deficit un tesoretto che potrebbe aggirarsi anche sugli 8-10 miliardi. Per chiudere la stesura della Nadef il governo attendeva il verdetto di Eurostat sul Superbonus. Ebbene i crediti fiscali relativi a quest’anno vanno classificati “come ‘pagabili’ nel 2023”: ciò significa che l’impatto sul deficit dei bonus attivati nel 2023 sarà solo sul 2023. Una notizia positiva, se si considera che quest’anno è ancora salvo dai vincoli delle regole europee.

Rimane la crescita asfittica. Tanto che nella Nadef il governo si appresta a fissare per il 2023 un Pil in crescita solo dello 0,8%, rivedendo al ribasso il +1% indicato ad aprile nel Def. Per il 2024 il dato tendenziale si aggirerebbe invece intorno all’1% dall’1,4% stimato nel Def. E così, anche alla luce della decisione di Eurostat, l’indebitamento 2023 potrebbe aumentare verso il 5-6%, rispetto al 4,5% indicato ad aprile. Ma è sul deficit del 2024 che si concentra il governo.

L’orientamento sarebbe di alzare l’asticella sia del dato tendenziale che del programmatico, che ad aprile erano stimati rispettivamente al 3,5 e 3,7%. Si ragionerebbe su un deficit tendenziale al 3,7-3,8% e uno programmatico al 4,2-4,3%: questo aprirebbe uno spazio in deficit di 0,4-0,5 punti percentuali, ovvero risorse per circa 8-10 miliardi da destinare in prima battuta al taglio del cuneo fiscale. Il governo da parte sua si sta costruendo degli alibi per una manovra che si annuncia all’insegna dell’austerità.

La politica monetaria restrittiva della Bce è riuscita solo a rallentare la crescita, ha osservato il titolare del Mef. E per un paese indebitato come l’Italia il rialzo dei tassi significa avere a disposizione “14-15 miliardi in meno”. Con questo dovrà fare i conti la Manovra. Su cui è destinato ad incidere anche il negoziato sul nuovo Patto di Stabilità, con l’Italia in pressing perché siano esclusi gli investimenti. Ed è probabile che in questa partita se l’Italia dovesse vedere esaudita la sua richiesta potrebbe acconsentire a dire di sì alla ratifica del Mes.

Di certo continua a crescere lo spread tra Btp e Bund tedeschi a 10 anni: il differenziale ha concluso la seduta di ieri a 193 punti. Si tratta del massimo dallo scorso metà marzo. L’obiettivo è proseguire sul sentiero di riduzione del debito: il percorso indicato dal Def passa da un debito al 142,1% del Pil nel 2023 al 141,4% nel 2024, per poi scendere al 140,9% nel 2025. Ma considerando che il grosso delle risorse se lo mangerà il taglio del cuneo fiscale, ci si aspetta una Manovra leggera rispetto agli anni passati: base di partenza 20 miliardi, che potrebbero arrivare a 22-23.

La caccia disperata alle risorse

Oltre al tesoretto in deficit la caccia alle risorse è ad ampio raggio. Si va dalla tassa sugli extraprofitti delle banche, che secondo gli analisti potrebbe dare un incasso di 1,5-2,2 miliardi, fino al lotto, con la possibilità di una nuova gara per assegnarne la gestione che potrebbe far arrivare in cassa fino a 800 milioni. Si guarda anche alla riforma del fisco, dalla potatura delle tax expenditure che potrebbe garantire risorse fino ad 1 miliardo, al concordato preventivo biennale. E soprattutto agli ennesimi condoni.

La spending garantirà 300 milioni. C’è poi da valutare la sorte di plastic e sugar tax, pensate nel 2019 ma sempre rinviate: se si decidesse di farle scattare, ma questo scatenerebbe la furia delle imprese, sarebbero un incasso, altrimenti finiranno alla voce costi da neutralizzare. Escluso il cuneo e qualche misura spot per la natalità rimarrà davvero poco per pensioni e sanità. In ballo ci sono anche la riduzione delle aliquote Irpef e rinnovi dei contratti della Pa. I sindacati intanto sono sul piede di guerra. Non c’è solo in agenda la mobilitazione della Cgil, anche la Uil, in assenza di risposte ai lavoratori nella Nadef e nella manovra, promette battaglia.